Mistero


L’uso, in psicologia, del termine mistero non è una novità, specie negli ultimi tempi. Con le accezioni più diverse, però.

C'è chi lo usa quando parla dell’inconscio, a significare quella parte dell’Io che sembra destinata a rimanere sconosciuta e impenetrabile. C’è chi se ne serve, invece, per indicare quella zona non ben definita della nostra psiche ove la dimensione spirituale si apre al trascendente. È un po’ come se il mistero, secondo queste interpretazioni, abitasse le profondità e pure le altezze dell’Io. C’è anche chi ne parla anche troppo, quasi applicando tale termine a... tutto: dal mistero dell’io a quello del tu, dal mistero dell’amore a quello della sessualità..., lasciando l’impressione che la parola rischi addirittura l’inflazione; o sia diventata un contenitore qualunque più che un contenuto preciso; o un termine utile per lasciare qualcosa di indefinito, ma circondandolo d’una aureola quasi magico-mistica; o per parlare di qualcosa che non si conosce gran che bene ma convinti di suscitare l’impressione contraria. E ancora: c’è chi, non solo tra gli psicologi, del mistero ha la vecchia, classica idea che sia qualcosa di oscuro e inaccessibile per le nostre limitate facoltà mentali, forse anche un po’ ostile e metallico, freddo e chiuso in se stesso, qualcosa che suscita solo o soprattutto silenzio, attesa, senso della propria inferiorità, a volte pure timore, quel timore che si prova di fronte allo sconosciuto e all’inconoscibile. Insomma mistero come inconscio, o come qualcosa d’indefinito, o come enigma… Una bella confusione.


Due significati
Il significato del termine mistero è molto preciso, e possiamo sintetizzarlo attorno a due concetti, correlati ma distinti, che richiamano due aspetti dell’Io. Mistero è:

•    la realtà più intima dell’Io, ciò che lo costituisce «persona», quindi non semplicemente qualcosa che è parte dell’apparato psichico, ma qualcosa che è rilevabile nelle operazioni psichiche, dalla più semplice alla più complessa;

•    l’apertura dello stesso Io verso un orizzonte trascendente-religioso che gli fornisce il senso ultimo di sé e del reale.

La seconda accezione è abbastanza nota e condivisa, specie da psicologi credenti o che si riconoscono in una certa fede religiosa, ma non solo. Questa psicologia, nella diatriba sull’origine e la natura della dimensione religiosa (è culturale o naturale, innata o acquisita?) ritiene che l’essere umano è di per sé religioso e si apre spontaneamente al fenomeno religioso; e non fa fatica a dimostrare che tale apertura religiosa è strettamente intrecciata con le altre dimensioni dell’Io, sviluppandosi con esse e attraverso di esse e contribuendo a manifestare l’unicità-singolarità-irripetibilità della persona.

La prima accezione invece, secondo la quale l'Io è mistero, normalmente non è capita nel suo senso più profondo. Non è capito il fatto che l’essere umano è mistero in se stesso, intrinsecamente, e non semplicemente aperto al mistero, quasi quest’apertura fosse una possibile conseguenza, un eventuale epifenomeno, una sorta di derivato, in sé opinabile, ma certamente non così centrale.


Mistero come categoria psicologica
La domanda, ci sembra, è fondamentalmente questa: l’uomo è e appare come mistero già al livello di un rilevamento psicologico, oppure è tale solo in forza d’una lettura ulteriore, di tipo metafisico, ad esempio, o legata comunque alla visione antropologica dell’osservatore (o alla sua fede)?

Non è differenza di poco conto.

Se è vera la prima ipotesi allora si apre la strada per una lettura dell’essere umano, del suo essere e agire, amare e soffrire..., come realtà psichica che per sua stessa natura, di per sé, è attraversata da una ricerca che non riguarda solo lo psichico, con la possibilità di rilevare ciò già a livello psicologico, nelle stesse operazioni psichiche e vengono – così – a cadere molte letture minimaliste o riduzionistiche dell’Io (dall’istintualismo allo psicologismo, ma anche dallo spiritualismo all’angelismo).

Se prevale la seconda ipotesi, il termine mistero perde molto del suo significato a livello psicologico (o è confuso con l’inconscio o con l’enigma), ma anche l’essere e l’agire dell’uomo, quale oggetto dell’analisi psicologica, perde profondità e prospettiva, come venisse privato d’un punto di riferimento preciso che lo rilancia costantemente oltre se stesso.

La nostra opinione è che spesso, anche da parte dello psicologo credente o comunque sensibile a certi valori, vi sia la tendenza a dare del mistero un’interpretazione più filosofica che psicologica, come se «mistero» fosse più una qualità della realtà da investigare che non una capacità o risorsa con cui il soggetto scruta la realtà, e che proprio attraverso questa risorsa manifesta la propria natura.

Non è grande novità dire che la realtà è misteriosa, mentre potrebbe esser non così scontato affermare che l’uomo è mistero. Nel secondo caso non si dice soltanto che l’essere umano è aperto al mistero, ma si dice che si porta dentro il mistero: non può far nulla senza in qualche modo «dire» il mistero che lo abita, senza che frammenti d’esso vengano comunque alla luce nel suo fare e nel suo dire, anche al di là della sua consapevolezza, nelle sue aspirazioni come nelle sue tentazioni, in ciò che lo attrae istintivamente e in ciò che teme, nella sua virtù e nel suo peccato, nei segni della sua maturità come nei sintomi della sua immaturità..., in tutto quanto, insomma, può cadere sotto lo sguardo analitico dello psicologo. Che non potrà non tenerne conto nella sua lettura.


Da scoprire e non da dimostrare
Se il mistero è una dimensione dell’Io, l’esistenza di questa dimensione va dimostrata. Se, invece, l’Io è mistero basta osservarlo, sottoponendo l’analisi del suo operare psicologico ad una indagine più profonda.

Il mistero è realtà concreta e descrivibile. Non è un enunciato filosofico e neanche religioso, ma un dato psicologico. Non si tratta di una dimensione che è possibile intravedere a partire da alcune premesse (la visione antropologica dell’osservatore, ad esempio, o il suo essere credente); qualcosa, insomma, che è legittimo cogliere, ma la cui presenza va dimostrata, più o meno faticosamente. Come oggi molti lodevolmente fanno, ma non sempre risultando davvero convincenti, o dando l’impressione che tale dimensione costituisca un optional, non qualcosa di universalmente presente. In altre parole, quando collochiamo il mistero nel mondo astratto-metafisico (quasi, potremmo dire, nel mondo delle idee), se vogliamo riportarlo al piano psicologico-esistenziale occorre legittimare e dimostrare la presenza nell’Io della dimensione religiosa (tra l’altro dimenticando che dire mistero non è sinonimo di dimensione religiosa!), ingenerando il dubbio che tutta l’argomentazione sia un po’ aprioristica, ossia guidata da una pre-comprensione di fondo. Con conseguenti problemi di comprensione con altre psicologie e con il rischio di fare del problema religioso una opzione legata esclusivamente o prevalentemente all’ideologia di partenza del singolo psicologo.

•    Il termine mistero, applicato all’uomo, non si riferisce solo all’inconoscibile (all’aspetto filosofico) o a una dimensione particolare dell’uomo (come la dimensione religiosa), ma a tutto ciò che lo definisce come persona. Per questo è anche osservabile empiricamente e non è necessario dimostrarne la presenza. Perché lo si può cogliere continuamente, ed è importante imparare a farlo (dato che è tutt’altro che operazione scontata), così come non c’è bisogno di dimostrare che l’uomo è dotato di ragione o che è un essere che ama, ma lo si constata. Se l’uomo è mistero, allora, non c’è bisogno di dimostrare che è aperto a Dio: basta descrivere quell’uomo, o apprendere a leggerlo nella sua integrità. Chi lo nega, dell’Io vede solo una parte!

•    L’Io come mistero è dunque anche quello che comunemente si definisce come l’Io psicologico (pensante, amante e volente, con una sua propria sensibilità ed emotività, col suo inconscio ecc.), ma non può essere ridotto solo allo psicologico. È qualcosa di più. L’Io come mistero è sempre lo stesso io, ma più ampiamente e totalmente definito. In quella maggiore ampiezza e totalità è contenuta anche l’apertura al Trascendente e la dimensione religiosa.


Si può gonfiare lo psichico fino a farlo lievitare al livello di mistero (e di Dio) oppure – e per noi, meglio – si può ricondurre il mistero (e la domanda su Dio) dentro all’orizzonte dell’uomo e più in particolare dentro all’orizzonte delle scienze umane.