Accompagnare nella scelta dello stato di vita (I): chiarificazioni iniziali e atteggiamenti da favorire
Maurizio Costa
Tredimensioni 1(2004)2, 122-141
Tredimensioni 1(2004)2, 122-141
In quest’ordine di Provvidenza, accompagnare verso la maturità abbraccia tutto lo spettro della vita di un uomo. L’esistenza dell’uomo nuovo (a differenza di quella dell’uomo vecchio raffigurabile come una parabola al cui vertice andrebbe collocata la maturità della persona tra un «prima» fatto d’attesa, di desiderio e di crescita e un «poi» marcato da delusione, ripiegamento e disfacimento) si presenta come una linea ascendente di continua crescita. La maturità resta sempre un punto di arrivo, perché, di fatto, si realizzerà pienamente solo attraverso la morte nella vita eterna, mentre su questa terra non è mai un risultato già acquisito. Nell’accostare il tema dell’accompagnamento di una persona verso la maturità, tuttavia, desideriamo imporci alcune limitazioni.
Prima di tutto, fermeremo la nostra attenzione solo su quel segmento della vita dell’uomo che riguarda la gioventù e che è caratterizzato dalla ricerca della propria vocazione e stato di vita. Se è vero che si tratta solo di una parte di tutto l’arco dell’esistenza e che la maturità della persona non può considerarsi già raggiunta con la scelta definitiva di un particolare stato di vita, rimane pur vero che questo periodo è molto importante e decisivo, per il fatto di fissare certi paracarri e il guardrail entro i quali si svolgerà la sua vita futura e di offrire criteri di discernimento per individuare l’autenticità e il valore delle sue scelte future nel cammino verso la pienezza della sua maturità. Questo periodo è paradigmatico per tutta la vita: l’esperienza del cammino percorso verso la meta della scelta dello stato di vita ha influsso, come modello e criterio o, all’opposto, come ostacolo e inciampo, sull’esperienza di tutta la vita umana tesa verso la meta finale della maturità definitiva e della realizzazione dell’uomo per tutta l’eternità.
Inoltre, su quest’accompagnamento e discernimento vocazionale ci proponiamo di riflettere a partire da un particolare punto di vista. Lo analizzeremo cioè solo, o almeno prevalentemente, in quanto si presenta come progetto di crescita verso la maturità umana e cristiana.
Infine, più in particolare, circa questo progetto di vita vogliamo soprattutto evidenziare i criteri, i parametri e gli aspetti fondamentali che devono essere considerati dal formatore per aiutare il giovane a fissare e a stendere o a correggere e ad aggiornare il programma più particolareggiato del suo cammino di ricerca dello stato di vita e, più, in generale, del cammino di tutta la sua esistenza.
Elementi fondamentali
«Entra tu stesso in una dinamica di discernimento spirituale» dovrebbe essere la prima e sintetica risposta a chi accompagna il giovane e, da parte della guida, alla persona stessa che a lui si rivolge. Con questo si è detto tutto e non si è detto nulla o quasi nulla. Non è difficile immaginare che chi ha posto la prima domanda incalza con una seconda: «Ma che cosa comporta questo processo di discernimento spirituale?».
Ad una semplice analisi fenomenologica del discernimento spirituale si possono rilevare quattro/cinque elementi fondamentali: esso è un’operazione strutturata secondo un preciso ritmo (1/2), compiuta da persone (3), intorno a determinati contenuti (4), e in un preciso ambiente o clima (5). In modo corrispettivo si pongono le questioni relative alla procedura tecnica e alle tappe dell’itinerario (1/2), al soggetto (3), all’oggetto (4) e alle condizioni necessarie (5) di quest’operazione. Nel presente studio, diamo per scontato che questo cammino di discernimento ha nello Spirito Santo il suo principale attore e protagonista: senza di Lui, senza la Sua azione ad un tempo di luce e di forza, invano i soggetti umani, l’accompagnatore e il giovane, potrebbero costruire un cammino di maturità pienamente autentica, e invano la più scrupolosa attenzione alle procedure tecniche e la più concentrata fedeltà alle tappe previste del cammino di crescita potrebbero garantire un successo ed esito positivo.
Della complessità di questo particolare discernimento spirituale ci limiteremo a considerare solamente alcuni aspetti, parametri e criteri riguardanti soprattutto gli ultimi tre punti, come dati fondamentali da considerare circa il modo di impostare un progetto di crescita personale. Li raccogliamo intorno ad alcune parole-chiave, come in altrettanti gruppi che scandiscono la successione delle parti del nostro studio e, parzialmente, anche quella dei passi che entrambi, la guida e il giovane, devono compiere verso la maturazione di un progetto di crescita personale. In questo articolo tratteremo delle chiarificazioni e degli atteggiamenti da offrire al giovane; nel prossimo delle attenzioni privilegiate di metodo che devono essere attuate e delle relazioni che caratterizzano questo processo di maturazione e di scelta di un progetto di vita che, pertanto, devono essere in esso rispettate.
Chiarificazioni iniziali
a) La domanda di aiutoGeneralmente l’accompagnatore , appena richiesto e sollecitato di un aiuto da parte di un giovane nel suo cammino di maturazione della scelta dello stato di vita, deve concentrare una sua prima attenzione sul significato e sul valore della domanda postagli.
* Dipendenza. Talora dietro il ricorso ad una persona che l’accompagni nel suo viaggio e itinerario verso la maturità, c’è nel giovane un modo inesatto di intendere quel «essere persona guidata dallo Spirito» a cui è stato invitato: spesso può essere visto come un passaporto per una passività completa nel campo decisionale, che dà diritto al «ditemi che cosa devo fare», senza impegnarsi nel faticoso lavorio di ricerca e di studio che richiede soprattutto da parte sua la risposta alla domanda che pone alla guida. Inoltre, vi si annida spesso anche una forte sottovalutazione della richiesta di creatività, che a lui, per primo, è rivolta per essere pienamente fedele a quel Dio cui vorrebbe affidarsi. Erroneamente, invece, egli preferisce fidarsi ciecamente della guida, quasi con un’ubbidienza passiva e irresponsabile. L’accompagnatore che stesse al gioco e volesse impostare la relazione con il giovane su un registro di pesante direttività, appellandosi al valore della docilità da parte del giovane, dovrebbe interrogarsi se si sia addentrato sufficientemente nel cammino di purificazione dalla sete di potere e di gestione nei riguardi di altri, che, tra le sue molteplici radici, ha anche lo scetticismo e la scarsa fiducia nell'azione di Dio educatore, oltre l’insufficiente stima di se stesso, modo con cui certi cuori gretti compensano la propria debolezza. Se così fosse, il suo accompagnamento diventerebbe precario e difficile, per non dire impossibile.
Certamente nel rapporto d’accompagnamento si stabilisce una certa dipendenza. D’altra parte è per lo meno equivoco, oltre che illusorio e ingenuo, che l’accompagnatore pensi di doversi porre in una posizione d’assoluta non-direttività! Se è vero che deve rispettare la libertà del soggetto, non deve dimenticare che la sua presenza indica già un'orientazione e che non potrà mai essere totalmente neutra, perché la comunicazione si stabilisce non solo attraverso le parole, ma anche, per esempio, attraverso un clima e un'atmosfera affettiva che veicola messaggi impliciti da lui al giovane. È sempre meglio giocare a carte scoperte!
Una certa dipendenza è ineliminabile e giusta, ma si deve anche distinguere la dipendenza autentica dell'uomo spirituale dalla dipendenza psicologica. L'uomo spirituale deve cercare una dipendenza: in fondo cerca se stesso nella fede, perché, dipendendo sempre più da Cristo, si allontana e si estrania da quello spirito d’autonomia, d’autarchia e d’autosufficienza che lo allontana dal suo essere creatura e, quindi, dall'essere se stesso in verità. D’altra parte deve cercare progressivamente di rendersi sempre più autonomo e indipendente. Se non si può omologare la libertà dell’uomo su quella di Dio, perché l’uomo resterà sempre una creatura e quindi dipendente dal Creatore, d’altra parte la sua libertà non è una finzione, ma comporterà sempre una vera autonomia. L'uomo si realizza e marcia autenticamente verso una più piena libertà se si espropria, se perde la sua vita, se si converte dall'indipendenza di se stesso alla dipendenza da Cristo, se si orienta alla docilità verso lo Spirito che lo rende libero e autonomo. L'uomo diventa maturo se diventa fanciullo di fronte all'unico Signore e Maestro. Perciò non è principalmente un motivo psicologico che giustifica la ricerca di dipendenza nell’accompagnamento, ma solo un motivo di fede illuminata: essa lo porta, anche se psicologicamente adulto e proprio perché adulto, a cercare un aiuto da un altro, l’accompagnatore, colto come «sacramento» di Dio o, meglio, come persona che lo aiuta a dipendere da Dio attraverso l'esperienza di una certa dipendenza da lui, ma non lo fa dipendere da lui.
* Sicurezza. Un discorso analogo dovrebbe essere condotto a proposito dell’esame da parte dell’accompagnatore sulla ricerca di sicurezza che si potrebbe facilmente nascondere nella domanda di chi si rivolge a lui per essere aiutato nel cammino verso una scelta dello stato di vita coerente con un cammino d’autentica maturità. Potremmo a lungo ragionare e riflettere sul problema se sia giusto cercare una sicurezza nel farsi accompagnare.
La risposta potrebbe essere affermativa, se per sicurezza si intende quel tipo di certezza legata al discernimento spirituale, che comporta sempre il fattore rischio e, pertanto, apre alla speranza e all'affidamento motivato e, pertanto, non fideista. È di certo negativa, se per sicurezza si intendono le coperture, gli avalli e le garanzie di tipo autoritario, oppure le protezioni di tipo affettivo e a buon mercato, che dispensano il giovane dall'assumersi responsabilità e lo inducono ad addossarle alla guida. Sarebbe allora, evidentemente, un cattivo e inesperto educatore colui che facilitasse questa deresponsabilizzazione e fuga del giovane, togliendogli l'ansia e assecondandolo nel voler evitare di affrontare ogni rischio. Potremmo affermare che può essere bene cercare sicurezza attraverso l’accompagnamento, ma non nell’accompagnamento: la speranza, la fiducia e l'abbandono totale sono da riporsi in Dio solo e solamente in Dio.
* Educare la domanda. Quando si accorgesse che la domanda nasconde delle deficienze, l’accompagnatore dovrà darsi da fare per correggerla prima di rifiutarla o di rilevarne esplicitamente l’errore. Al giovane ricco che domanda «Maestro buono, che cosa devo fare per ottenere la vita eterna?», Gesù non replica rimproverandolo immediatamente di essere preoccupato più delle cose (=che cosa) che delle persone (=chi), più del «dovere» e della legge da osservare che dell’amare, più del «fare» che dell’«essere» e più dell’«ottenere/avere/possedere» che dell’entrare in un dinamismo. Gli corregge il tiro con una significativa domanda, non già con un precetto che lo avrebbe confermato nella sua dinamica legalista o struttura statica di rapportarsi alla sua realizzazione: «Perché mi interroghi su ciò che è buono; uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita ….» . Il «buono» che ti realizza non è una «cosa», ma una persona, e una persona unica: «uno solo»; la propria realizzazione non è oggetto di conquista o di possesso, ma un cammino da percorrere su questa terra e nel quale occorre essere aiutati a addentrarsi.
b) Scopo della ricerca
Generalmente chi si rivolge ad una persona impegnata nella vita di fede per essere accompagnato, sostenuto e aiutato nel cammino di un progetto di crescita verso la maturità, soprattutto nella scelta dello stato di vita, dà per scontato che vuole fare la volontà di Dio, ma si trova in difficoltà circa il modo di attuarla e, ancor prima, di conoscerla. Purtroppo generalmente capita che anche l’accompagnatore dia per scontato che il significato di «fare-la-volontà-di-Dio» sia un dato rettamente inteso e acquisito dal giovane che gli si pone davanti. Anzi, forse, egli stesso per primo non ha mai riflettuto sul senso da dare a questa espressione, pensando che sia ovvio e da tutti inteso in modo univoco. Credo che prima di cimentarsi nell’arte difficile di accompagnare un giovane verso la maturità, aiutandolo ad abbracciare un progetto di crescita personale e a percorrere un cammino limpido verso una decisione responsabile dello stato di vita, l’accompagnatore debba chiarificare a se stesso, per poterlo rendere chiaro al giovane che si affida a lui, che cosa presupponga l’atteggiamento retto di fronte al «fare-la-volontà-di-Dio». Senza ripetere le riflessioni che in altra sede ho già esposto e alle quali rinvio, vorrei sottolineare come sia decisivo non solo il rischio della libertà, ma anche avere uno spirito di donazione d’amore e la ricerca del «meglio» o di ciò che è «migliore» piuttosto che dell’«ottimo» e del «perfetto», del «magis» piuttosto che del «maxime», del comparativo piuttosto che del superlativo e, quindi, la necessità di entrare nell’ottica dinamica di chi, di fronte alle scelte da operare, si domanda «com’è meglio fare?» piuttosto che in quella perfezionista, che paradossalmente finisce per essere statica, legalista e minimalista, di chi si chiede «che male c’è?». Per intraprendere seriamente il cammino verso la scelta dello stato di vita, il giovane deve convertirsi dalla seconda alla prima dinamica. Gesù propone al giovane ricco il salto verso un nuovo stile di vita impostato sulla sua sequela a partire dalla povertà e dal distacco solo dopo che il giovane si è reso conto che c’era un qualcosa di più da attuare («che cosa mi manca ancora?»), dopo aveva verificato con il Maestro di aver sempre osservato perfettamente la legge («tutte queste cose le ho fatte dalla mia giovinezza») .
c) Spirito con cui cercare
Soprattutto, però, è decisivo e assolutamente necessario che, prima di intraprendere il cammino di ricerca e di discernimento della volontà di Dio, il giovane, proprio attraverso le riflessioni e gli aiuti ricevuti dalla guida per penetrare il significato di «fare-la-volontà-di-Dio», acquisisca un forte senso del mistero e colga soprattutto se stesso come mistero. È, infatti, il senso del mistero della persona e dell’intera realtà umana che ci aiuta a trovare la giusta posizione di fronte al «fare-la-volontà-di-Dio». Questo rimarrà sempre qualcosa di misterioso perché correlato non solo con Dio (la volontà di Dio in Dio è Dio stesso, che è mistero!), ma anche con il mistero che è la persona umana. Essa non può mai essere pienamente oggettivata e colta nella sua interezza, ma in lei ci si può solo entrare con rispetto, con discrezione, con umiltà, e con senso della misura e del mistero. È il senso del mistero della persona e della realtà che aiuta ad accostarsi alla ricerca della volontà di Dio, circa la scelta del proprio stato di vita, con lo spirito del retto discernimento, che comporta sempre un distinguere per unire, un non lasciare separati e divisi poli opposti della propria persona e della realtà per evitare riduzionismi pericolosi. Il «fare-la-volontà-di-Dio» si pone in quel punto d’incontro - mobile all'infinito, anche se sempre concreto nella storia - nel quale l'appello all'«aldilà» si coniuga con la fedeltà alla storia; nel quale il piano salvifico universale di Dio viene interiorizzato e fatto proprio dall'uomo; nel quale la libertà dell'uomo è divinizzata e dilatata all'infinito, ma nel tempo stesso determinata e attuata entro limiti ben definiti; nel quale la Parola eterna di Dio sotto l’azione dello Spirito diventa parola di Dio a me-qui-ora, parola che mi chiama e m’indica una missione definitiva e immutabile.
Questo punto d’incontro, scolpito all’interno nel cuore dell’uomo, potrà essere raggiunto solamente dalla persona che si coglie e si accetta come mistero. Essa sola, infatti, saprà stare al confine e sullo spartiacque tra storia ed eternità, tra passato e futuro, tra il finito e l'infinito, tra il suo mondo interno e la realtà esterna, tra lo spirituale e il corporeo, tra l'invisibile e il visibile, tra l'universale e il particolare concreto, tra l'unità e la molteplicità-pluralità, tra l'identità e la differenza, tra il senso della persona e il senso della comunità, tra il valore e la circostanza storica, tra la necessità e la contingenza, tra il tutto e la parte, tra il naturale e il soprannaturale, tra la Parola e lo Spirito, tra la Scrittura, la Tradizione e il Magistero, ecc... Solo la persona che si coglie e si accetta come mistero riuscirà ad evitare la tentazione di scaricare il peso della tensione tra i due poli, sbilanciandosi e determinandosi per uno solo dei due a scapito dell'altro.
d) Intreccio di oggettività e soggettività
Oltre al desiderio di scegliere lo stato di vita secondo la volontà di Dio, si esige anche una particolare chiarificazione del quadro oggettivo del piano di Dio. Per fare la volontà di Dio, infatti, bisogna conoscerla nel profondo del nostro cuore. Dio ha fatto conoscere la sua volontà attraverso una via oggettiva universale: è la via dei comandamenti, della parola scritta, della voce e dell’insegnamento del magistero della chiesa. Questa è una via necessaria, sicura e chiara; ma proprio perché valida per tutti, non può soddisfare l’intimo del cuore del giovane che si vuole lasciare conquistare da Dio anche nelle pieghe più recondite della sua persona e che, pertanto, s’interroga sulla volontà di Dio qui e ora nelle sue concrete circostanze particolari. Dio ha un piano personale e comunitario; educa il suo popolo come un tutto e educa ciascuno di noi: la sua educazione è, ad un tempo, personale e comunitaria . La parola di Dio, che risuona nel cuore del giovane e gli manifesta la volontà del Creatore circa la scelta del concreto stato di vita, non è “altra” da quella che risuona al piano oggettivo e universale nella Scrittura, nel Magistero della Chiesa e nella retta ragione: ne è un approfondimento e incarnazione. Il quadro o piano oggettivo della volontà di Dio è proposto alla libertà dell’uomo perché lo conosca, lo accetti e lo incarni nella sua vita. Per arrivare alla vocazione specifica e concreta del proprio io nella chiesa e nel mondo, si deve passare attraverso le scelte della vocazione all’esistenza da parte di Dio Creatore, della vocazione al battesimo che ci configura a Cristo e di quella al cattolicesimo che ci fa vivere da membri della Chiesa . In concreto bisogna aver scelto Dio, Cristo e la Chiesa.
Tuttavia quello che Dio dice a tutti gli uomini è insufficiente ancorché necessario per scegliere lo stato di vita; è un po’ come i paracarri e il guardrail di un’autostrada: se vado al di là di loro sono fuori strada; ma dove in concreto il Signore mi vuole? In quale corsia? Dove è il meglio per me? A questo posso rispondere seguendo la via del discernimento spirituale.
La via del discernimento spirituale presuppone il trovarsi all’interno del piano di Dio e, quindi, la conoscenza di esso. Tuttavia, sotto l’azione dello Spirito che ci ricorda tutto quello che Gesù ci ha detto, chi cerca il proprio stato di vita attraverso il discernimento spirituale porta avanti e precisa sempre meglio la volontà di Dio su di sé. Il Signore, infatti, comunica con noi uomini attraverso segni particolari, propri per ciascuno di noi, non solo con segni che sono comuni per tutti gli uomini o anche solo per tutti i cristiani. Ci sono segni esterni: fatti e segni dei tempi; e ci sono segni interni o interiori: mozioni, pensieri e affetti. Tutti questi segni sono come voci, come parole espresse in un linguaggio particolare: il linguaggio di Dio al cuore del singolo uomo. Dio non ci parla in italiano o in inglese, in linguaggio cifrato o in geroglifici egiziani, in alfabeto greco o in segni cinesi. Le consonanti e le vocali di questo particolare linguaggio di Dio sono appunto questi segni esterni e interni, la sua azione su di noi e nella nostra storia attorno a noi; la grammatica e la sintassi di questo linguaggio sono date dal collegamento e ordine tra questi fatti e azioni medesime per mezzo dei quali arriviamo ad interpretare quello che Dio ci vuol dire.
e) Scelta di vita e scelte quotidiane
Se la scelta concreta dello stato di vita presuppone, come abbiamo detto, una molteplicità di scelte e di chiamate, essa stessa, a sua volta, è presupposta per le scelte quotidiane: scegliere uno stato di vita significa porlo come stabile fondamento per tutte le scelte pratiche, come criterio per l’integrazione di ciascuna nell’unità della persona e, quindi, per un autentico processo di maturazione e cammino verso la maturità. Ciò in quanto lo stato di vita è Vocazione, cioè in quanto voce di Dio più sintetica che dà forma complessiva alla nostra vita, in rapporto alla quale solamente prendono significato le vocazioni o chiamate più particolari e concrete di ogni istante della propria esistenza.
Questo ci aiuta a capire meglio come, fin dall’inizio, la guida deve aiutare il giovane a chiarificarsi bene il valore della fedeltà all’impegno perpetuo e definitivo assunto con il matrimonio, con il sacramento dell’Ordine o con la professione religiosa. Un tempo, forse, la perpetuità dell’impegno era data per scontata: la testimonianza di fedeltà dei cristiani, dei sacerdoti e dei religiosi era quasi univoca, certamente sufficiente per trasmettere un messaggio chiaro e inconfutabile. Oggi, in un clima di esasperato relativismo e storicismo, non è più così: c’è bisogno di molteplici e ripetuti richiami verbali, attraverso i quali non ci si dovrebbe accontentare di un’accettazione volontaristica della fedeltà da parte del giovane come di una legge-conditio sine qua non per accedere allo stato di vita scelto perché voluto da Dio, ma si dovrebbe favorire in lui il coinvolgimento affettivo nei riguardi della fedeltà come dono-partecipazione della stessa fedeltà di Dio che chiama e come aiuto nel cammino verso la maturità umana e spirituale.
Si potrebbero citare molte altre chiarificazioni iniziali. Qui abbiamo voluto ricordare quelle che l’esperienza ci ha indicato e ci indica come le più urgenti e necessarie nell’inizio dell’accompagnamento. Il discorso non é evidentemente esaustivo, ma provocatorio nei riguardi del lettore, perché cerchi di esplicitare altri dati attingendo alla propria esperienza, non solo a vantaggio della propria opera educativa, ma anche di quella di chi come lui si pone come formatore di giovani.
Atteggiamenti da favorire
Oltre a chiarificazioni di vario tipo, l’accompagnamento verso la maturità del giovane in cammino verso la scelta dello stato di vita comporta anche atteggiamenti da favorire sia in lui, prima di tutto, che nel formatore.a) Nel giovane
Alcuni di essi si possono facilmente reperire negli studi, lezioni o conferenze riguardanti la pastorale giovanile, oppure sono già inevitabilmente affiorati nelle pagine precedenti trattando delle necessarie chiarificazioni. Mi sembra però utile ricordarne alcuni, senza tuttavia attardarci ad esplicitarne il valore e il significato, sia perché chiari o facilmente intuibili in se stessi, sia perché, come già sopra a proposito delle chiarificazioni, vogliamo suggerire solamente alcuni spunti, richiamando l’attenzione soprattutto su quegli atteggiamenti che l’esperienza ci fa apparire più disattesi e trascurati, nonostante la rilevanza che possono avere in un cammino di crescita personale. Mi riferisco soprattutto alla fiducia attiva e responsabile nella guida, ai sentimenti interiori dell’eunuco funzionario della regina Candace di Etiopia incontrato da Filippo sulla strada che da Gerusalemme scende a Gaza ; al senso del mistero sia di Dio sia dell’uomo; alla priorità da accordare all’intervento libero e gratuito di Dio che chiama, con il conseguente senso di gratitudine per il dono che si riceve; alla disponibilità ad entrare in un cammino di crescita nel quale non sarà assente la lotta non solo contro se stessi, ma anche contro Dio; alla generosità e al desiderio di procedere non in uno spirito di timore, che pone su posizioni difensive e minimaliste, ma piuttosto in quello spirito di amore, che spinge a desiderare quello che è meglio scegliere; ecc. …
* Bellezza e sublimità della vocazione. Per impostare un progetto di crescita personale nel cammino verso la maturità il giovane non può oggi disattendere una cura speciale per sviluppare nella profondità del proprio cuore un vivo senso della bellezza e della sublimità dello stato di vita al quale Dio lo chiama . Nei documenti del Magistero della Chiesa la sottolineatura della bellezza e della sublimità della vocazione è presente soprattutto in Vita Consacrata . È vero che questo documento riguarda solo la vocazione alla vita consacrata, ma per analogia può essere applicato anche alle altre vocazioni. Il sapersi lasciare prendere dal fascino di Cristo e colpire dalla bellezza della vocazione permetterà al giovane di coinvolgersi per intero nell’avventura della ricerca di ciò che è più gradito a Dio, non solo con l’intelligenza e con la volontà, ma anche con l’affettività, ben sapendo che la scelta dello stato di vita secondo i desideri del Signore non è solo una questione di ortodossia o di ortoprassi, ma anche di ortopatia. Il senso della sublimità dello stato di vita al quale si sente chiamato, in particolare, sarà per lui criterio di autenticità della strada che sta percorrendo, perché segno di autenticità dello sviluppo del senso del mistero che lo spinge ad andare oltre in un movimento di donazione sempre «più totale» . La cultura d’oggi non favorisce di certo questa attenzione verso la bellezza e la sublimità della vocazione, ma piuttosto sposta il tiro sulla sua problematicità e la riflessione su di essa si porta più facilmente su ciò che rispetto a questo nucleo centrale della vocazione è periferico: le discussioni sui divieti, requisiti, difficoltà, opportunità, efficienza storica, incidenza sociale ecc… Nella Chiesa, in specie, non è ancora superato il sospetto nei riguardi del livello dell’affettività, sempre giudicato unilateralmente come pericoloso senza coglierne le valenze per quella pienezza di donazione oggi non solo richiesta, ma indispensabile per una risposta adeguata alla chiamata di Dio, che si incarni e si esprimi nel tessuto della storia.
Molto efficacemente Manenti sottolinea che, quando la sublimità della vocazione non è ben messa a fuoco (con tutto quello che essa comporta di senso della trascendenza, di senso di mistero, di valorizzazione dell’affettività, di amore) e scompare in seconda linea dietro a quei dati che dovrebbero essere suoi derivati, già in partenza si imposta male la propria vocazione: rimangono blocchi a livello affettivo, intellettivo e volitivo che fanno slittare sempre più la decisione rinviandola all’infinito oppure, quando si richiedesse un’urgenza di decisione, questa verrebbe presa con ansia e senza entusiasmo. Non c’è allora da stupirsi se, dopo l’ingresso nello stato di vita, alle prime difficoltà sui modi di attuare la propria vocazione perpetua, non si riesce a risolverle perché mancano i criteri per risolverle, essendosi giocati non sull’essenziale della vocazione, ma sul periferico delle modalità di applicazione, e perché si è confuso l’essenziale immutabile con le variabili temporanee .
In questa luce si può comprendere una volta di più quanto sia essenziale che il giovane sappia lasciarsi affascinare dalla persona di Gesù. L’affetto e l’amore vengono giocati su un TU; non sono sufficienti i valori. Per questo egli deve entrare in un’ottica di relazione interpersonale con Cristo per potersene rendere famigliare e, in ultima analisi, seguirLo in totalità. Non intendo, tuttavia, sviluppare questo aspetto, perché già spesso e altrove molto bene trattato e richiamato all’attenzione del formatore e dei giovani.
* Esercizio di libertà. Mi sembra importante richiamare l’attenzione sull’aspetto che spesso l’attuale Pontefice, Giovanni Paolo II (soprattutto nella Pastores dabo vobis a proposito della vocazione al sacerdozio ministeriale ) sottolinea precisamente in connessione con l’impostazione dialogale e personalistica della maturazione della vocazione. Alludo all’importanza, nell’accompagnamento verso la maturità dei giovani in ricerca del proprio stato di vita, dell’appello alla loro libertà.
Se «prioritario, anzi preveniente e decisivo è l’intervento libero e gratuito di Dio che chiama» , non rimane meno vero che «grazia e libertà non si oppongono tra loro» e che «neppure si può attentare all’estrema serietà con la quale l’uomo è sfidato nella sua libertà» . «La libertà, dunque, è essenziale alla vocazione» . Si tratta, tuttavia, di una libertà che - oltre che animata e sostenuta dalla grazia e mai, quindi, in opposizione o in alternativa ad essa – è partecipazione viva della stessa libertà di Cristo, con il quale chi è in cammino verso la scelta definitiva dello stato di vita è necessario che si configuri attraverso un dialogo orante .
Non si può negare che anche quest’attenzione possa essere facilmente disattesa dai giovani d’oggi, perché questa libertà mette in gioco la loro responsabilità e la loro capacità di rischiare la vita su una persona, Gesù Cristo, che come Dio è assoluto e totalmente imprevedibile. La mentalità assicurazionistica d’oggi, già sopra richiamata, rende loro difficile sbilanciarsi, rischiare ed esporsi fuori di sé, e fa loro preferire lasciare ogni responsabilità alla decisione della guida e dell’educatore. Piuttosto che correre il pericolo di dover decidere liberamente, ci si nasconde dietro il dovere della legge universale o del dictamen di un altro, rinunciando ad ogni discernimento spirituale. L’accompagnatore che stesse al gioco, anche se non se ne rende conto, di fatto mette nei giovani le premesse di un modo di condurre in futuro una vita da prigionieri perché mai scelta positivamente e responsabilmente, oppure di abbandoni della via abbracciata, ancorché irreversibile perché perpetua, con l’illusione di potersi giustificare, di fronte alle impreviste difficoltà, attraverso il dubbio della stessa validità degli atti conclusivi che lo hanno posto definitivamente in un preciso stato di vita (matrimonio, ordinazione sacerdotale o professione religiosa perpetua). Questo dubbio, per lo meno, infiacchisce l’incandescenza e il fervore di un’esistenza che dovrebbe essere pienamente donata.
* Interiorità come luogo del dialogo. Perché queste attenzioni si concretizzino nell’esperienza, l’accompagnamento dovrebbe coerentemente promuovere un sano processo di interiorizzazione e, soprattutto, una capacità radicale ad attuarlo. Spesso, oggi, purtroppo, l’interiorizzazione viene vissuta come un processo di ripiegamento su di sé, come una ricerca narcisistica di quello che è particolare e singolare della persona che lo distingue dagli altri per affermare se stesso, piuttosto che come un cammino verso il cuore inteso come il luogo della comunicazione dei diversi , per essere di maggiore aiuto e per servire più compiutamente e appropriatamente gli altri. È questa la via privilegiata per il dialogo con il Diverso per eccellenza, con l’Altro, con Dio nella preghiera, ma anche per il dialogo con gli altri, tra i quali non certo secondario è lo stesso accompagnatore.
Entrare in una dinamica di interiorizzazione comporta, tuttavia, un clima adatto e particolare che non è così facile da trovare e da creare nel mondo del giovane «navigator» d’oggi, «computerizzato» e «internetizzato», che è marcato dal rumore e dall’esteriorità, perché condizionato da un sovraccarico di stimolazioni che ne frammentano i desideri, la conoscenza e la volontà, da una maturazione precoce dell’aspetto cognitivo a scapito della maturità affettiva e vocazionale, dall’aiuto di tanti mezzi che lo imprigionano nell’effimero e da una visione positiva della sessualità che, però, per reagire a quella negativa di alcuni decenni or sono, ha finito per favorire una società «erotizzata» che rende ancora più difficile la donazione totale di amore che, più di ogni altra realtà, favorisce l’autentica maturità umana e spirituale della persona. Per questo l’accompagnamento verso la maturità dovrà offrire aiuti e spunti per favorire nel giovane il senso del silenzio e del raccoglimento, la capacità di saper vivere la solitudine senza avere la preoccupazione e la frenesia di «stare alla finestra», il desiderio di appartarsi senza volere essere sempre al centro di tutto o in mezzo alla massa, il senso della misura nel raccogliere e cercare le informazioni, insieme al senso della bellezza dell’amore che si dona.
b) Nel formatore
Questo impegnativo lavoro da parte dell’accompagnatore nel cercare di favorire le sopradescritte attenzioni nel giovane che è chiamato ad aiutare, a sua volta va preceduto, evidentemente, da altrettante importanti e, forse, addirittura più gravose attenzione rispetto al necessario lavoro su se stesso.
* Competenza di vita oltre che di tecniche. Se nel cammino verso la maturità il giovane deve rivestirsi degli atteggiamenti e dei sentimenti interiori dell’eunuco funzionario della regina d’Etiopia, all’opposto questo non dovrebbe verificarsi nell’accompagnatore e nell’educatore. Egli, infatti, non può porsi di fronte a chi deve aiutare a scegliere come uno che anche solo pensi: «Come potrei capire quello che sto leggendo se nessuno me lo spiega?» . Chi è cieco non può condurre e aiutare un altro cieco: ci sarà il pericolo che tutti e due finiscano nel pozzo! . L’accompagnatore vocazionale di giovani alla scelta dello stato di vita è prima di tutto un testimone. Di qui si evidenzia anche la necessità non solo di una preparazione specifica e tecnica al delicato compito di guida di giovani, ma anche e soprattutto una sua preparazione spirituale e umana, nella quale cioè esperienze di natura spirituale e percorsi di analisi psicologica si coniughino per la formazione di quello strumento che a sua volta dovrà aiutare i giovani a impostare la scelta dello stato di vita come un cammino spirituale che è al tempo stesso crescita personale verso la maturità. Mai la migliore tecnica o i migliori contenuti potranno sopperire alle carenze interiori: al massimo le potranno sul momento nascondere e occultare, ma alla lunga una minore attenzione alla cura della propria persona produrrà minori, se non addirittura funesti, frutti nei destinatari della sua azione apostolica.
* Vicinanza attiva ed efficace. Nel trattare e riflettere sulle attenzioni che l’accompagnatore deve avere circa se stesso e la propria azione, spesso si sottolinea l’attenzione alle persone e la cura per l’accoglienza e l’ascolto della loro vita e delle loro esperienze. Certamente è questo un punto molto delicato, perché, dietro la sottolineatura di questi valori, si possono nascondere errori pericolosi. L’educatore deve coinvolgersi e provare empatia per coloro che deve accompagnare, ma questo non significa che possa tranquillamente dimenticare la giusta distanza nell’accompagnamento; la comprensione per i ritmi e per il cammino di ciascuno non comporta necessariamente un atteggiamento di semplice vicinanza e assistenza da testimone silenzioso e incapace di orientare verso un fine; ascolto rispettoso, accoglienza neutrale, attesa passiva e non-interferenza se non significano condanna, non sono nemmeno sinonimi di permissivismo; attenzione antropologica al soggetto da conoscere nella sua irripetibilità non significa trascuratezza delle dinamiche psichiche universali e comuni a tutti e, tanto meno, diritto ad ignorare la componente teologica che assegna una meta precisa da additare alla persona e contenuti precisi oggettivi da trasmettere. Questi, in ultima analisi, vanno attinti alla pedagogia di Dio paradigmaticamente descritta nella S. Scrittura e da Lui attuata lungo tutta la storia, che è storia della salvezza. Nella guida del suo popolo e dei singoli membri Dio non si pone semplicemente come un accompagnatore che si fa vicino e si mette al passo dell'uomo senza esercitare alcun intervento efficace, quasi fosse un semplice testimone che attesta e avvalla l'operato libero dell'uomo e si preoccupa di non interferire sulla creatività dell'uomo per non pregiudicarne la libertà. Per lo meno ci si dovrebbe interrogare se in una tale visione non si annidi una figura di un rapporto Dio-uomo concorrenziale e un’immagine di un Dio avversario dell'uomo, ben lontana da quella del Dio dell'Alleanza.
Dio, con buona pace di Rogers e del permissivismo di molti suoi discepoli, è davvero direttore, fino al punto addirittura di essere il fondamento stesso della libertà dell'uomo e della stessa creatività attraverso la sua azione salvifica. Cura della persona, accoglienza, ascolto, da una parte, e direttività, dall’altra, non si contraddicono necessariamente. Il saper dosare e soprattutto integrare la passività connessa con l’accoglienza e l’ascolto del giovane con l’esercizio attivo di una certa direttività nei suoi riguardi è senza dubbio uno dei compiti più difficili che l’accompagnatore ha da affrontare. Personalmente ritengo che egli potrà trovare la soluzione solo «attraverso» e «in» uno stile sciolto di autentico discernimento spirituale, maturato nell’esperienza dell’incontro personale con Gesù Cristo in una preghiera gravida di quella fede che è risposta attiva e libera alla parola e all’azione di Dio ricevuta nel profondo del cuore, al di là dell’esclusivo impiego di tecniche strettamente psicologiche per altro preziose e necessarie anche se non sufficienti.
* Consapevolezza dei propri ostacoli. Una particolare attenzione, infine, dovrà essere riservato dall’accompagnatore agli ostacoli che si frappongono nel cammino verso la maturazione dei giovani oggi. Si tratta di quelle forze negative di vario tipo (fisiche, sociologiche, psicologiche, morali, spirituali) presenti non solo nei giovani impegnati nella scelta dello stato di vita o che essi possono incontrare in questo delicato momento di discernimento come provenienti dall’esterno, ma anche nello stesso accompagnatore: esse ne rendono meno efficace, quando anche – Dio non voglia – dannosa, la sua ricerca di aiuto nella sua azione di guida e di accompagnatore. Giovanni Paolo II nella Pastores dabo vobis ricorda che si danno ostacoli che possono bloccare o spegnere la risposta libera dell'uomo: non soltanto i beni materiali possono chiudere il cuore umano ai valori dello spirito e alle radicali esigenze del Regno di Dio, ma anche alcune condizioni sociali e culturali del nostro tempo possono presentare non poche minacce e imporre visioni distorte e false circa la vera natura della vocazione, rendendone difficili, se non impossibili, l'accoglienza e la stessa comprensione .
Già sopra abbiamo ricordato alcuni di questi ostacoli parlando dei giovani e che sono esplicitati dal Papa nel medesimo paragrafo della sua esortazione postsinodale (visione errata di Dio, idee distorte sull’uomo, concezione falsa dell’autonomia della libertà umana che non può essere mai assoluta, modo di vedere intimistico e individualistico il rapporto dell’uomo con Dio, la mentalità secolarizzata della società d’oggi, ecc…). Non dobbiamo essere così ingenui e ottimisti da pensare che essi non attentino anche allo spirito dell’accompagnatore. Mai in modo sufficiente si raccomanderà una vigilante attenzione ai pericoli, consci tuttavia che non si esaurisce in essa il lavoro spirituale che egli deve compiere su se stesso.
In un prossimo articolo completeremo il nostro studio, analizzando alcune attenzioni di metodo che ci sembrano doversi privilegiare e, soprattutto, la cura che si deve avere perché siano ben impostate le diverse relazioni che il giovane incontra nel suo cammino di scelta dello stato di vita in modo che risultino per lui efficaci aiuti verso una maturità sempre più piena.
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