Vizioso, intrigante e/o ammalato?



Il contesto
Sembra che ormai la psicologia o la psicopatologia abbiano rimpiazzato la morale medievale dei vizi, questa è la tesi di un autorevole interprete della cultura contemporanea . Nello stesso tempo, dall’interno del contesto ecclesiale e più precisamente monastico, si assiste a una rivisitazione dei testi della tradizione spirituale a partire da nuovi interrogativi antropologici  che interessa anche la cultura laica. In realtà, la fenomenologia penetrante, offerta dai testi sui diversi pensieri della malvagità o vizi, è capace di interpretare modalità esistenziali di essere nel mondo che non si esauriscono in una prospettiva interiore, ma riguarda anche il tessuto delle relazioni sociali.
Quelli che, oggi, vengono chiamati, i «nuovi vizi» - come il consumismo, interpretato come rimedio all’infelicità, la psicopatia, intesa come assenza di risonanza emotiva rispetto ad azioni anche gravi, la sessomania, considerata come corpo da esibire senza relazione e legami affettivi…- assumono una dimensione collettiva ed esprimono la condizione di debolezza dell’identità tipica del narcisismo . La generazione attuale è più esposta a disturbi di tipo narcisistico, i cosiddetti disordini della personalità, segnati maggiormente da instabilità nelle scelte e impulsività emotiva, piuttosto che a problemi nevrotici, con una eccessiva rigidità dei meccanismi di difesa . In effetti se consideriamo i giovani e giovani-adulti del nostro tempo, sotto il profilo psicologico sono caratterizzati più dalla depressione, proveniente dalla deprivazione affettiva infantile e da una carenza di presenza che dalla repressione di un’educazione eccessivamente esigente e rigida .
Di fronte a queste «sindromi sociali» molto diffuse, anche chi ieri criticava radicalmente i valori morali oggi fa delle diagnosi senza pietà, condannando con una buona dose di moralismo il vuoto di senso di questa società. Forse proprio la desolazione della mancanza di senso apre ad un rinnovato interesse per il tema delle virtù e dei vizi in cui psicologia, etica e spiritualità si trovano, pur con prospettive differenti, sorprendentemente alleati .

Le domande
Sembra inevitabile confrontarsi con la domanda insita nel titolo che pone un’alternativa o una congiunzione: Vizioso, intrigante eo malato? Come spesso capita occorre articolare ulteriormente la domanda, includendo tutti i dati del problema, per trovare un via di risoluzione.

Un povero Giobbe e i suoi tre amici
Immaginiamo una persona  che si muove lentamente, ritarda ogni atto, non riesce a decidere, rimane stanca sotto il peso dei suoi dubbi, sperimenta mancanza di motivazione e gusto in ciò che fa, promette ma non riesce a mantenere perché dimentica e successivamente è letteralmente tormentata dalla colpa. A questa persona, come ad un povero Giobbe , seduto sul letamaio, con il coccio in mano per grattarsi le piaghe, si avvicinano tre amici, o meglio, tre saggi che pretendono di spiegare e di trovare un perché di questa situazione esistenziale.
(1) Il primo è convito che si tratta dell’antico vizio dell’accidia, della pigrizia, così bene descritto dai padri del deserto, dai monaci e da San Tommaso.
(2) Un altro saggio sentenzia senza dubbi che quella persona manifesta chiaramente i sintomi di una sindrome depressiva, che potrà essere ulteriormente precisata, con l’aiuto di alcuni esami clinici, come un caso di depressione acuta o cronica, endogena o reattiva.
(3) Il terzo, dopo avere richiesto un’intervista sulle aree importanti della personalità e alcuni tests proiettivi, spiega come diversi processi finiscano per bloccare la volontà a partire da un conflitto subconscio di autonomia: in reazione ad un’ambivalenza affettiva, tra dipendenza e autonomia, sembra che ogni richiesta o impegno vengano subiti come se fossero uno sfruttamento e una svalutazione. In questo modo la persona si difende passivamente da situazioni potenzialmente umilianti.
Chi dei tre saggi ha ragione? Probabilmente nessuno! Se si pretende che ciascuno possa giungere a una spiegazione esauriente ed esclusiva. Probabilmente tutti! Nel caso non si intenda raggiungere una spiegazione, ma piuttosto una interpretazione attraverso la quale la presenza e l’intensità dei segni, e il loro insieme, vengono letti prevalentemente nel quadro di uno o l’altro di questi scenari senza escludere necessariamente o totalmente i rimanenti.
Nel passato  si è riservata maggiore attenzione pedagogica alle posizioni dei primi due saggi: (1) si è considerata, prima di tutto, la lotta di tipo morale e spirituale, come orizzonte in cui interpretare le difficoltà del soggetto, riconoscendo solo l’ambito della consapevolezza e della responsabilità del soggetto, nell’alternativa tra virtù e peccato; (2) oggi si è più inclini a considerare il caso di una persona costretta a difendere se stessa rispetto alla minaccia della propria integrità psichica, e quindi si tende a interpretare e giustificare le difficoltà del soggetto nell’orizzonte della lotta tra salute e malattia. Spesso, si rischia di ridurre a queste due alternative, anche in ambito giuridico e penale, la possibile interpretazione e la conseguente risposta pedagogica alle difficoltà che le persone incontrano nel cammino spirituale, vocazionale e morale. (3) Alla luce della psicologia moderna si può aggiungere un altro orizzonte interpretativo, quello dell’ultimo saggio. Viene presa in considerazione anche l’ipotesi che il soggetto non sia cosciente di alcune tendenze che nella sua dinamica psichica si oppongono all’attuazione armonica degli ideali verso cui consapevolmente tende con delle conseguenze di parziale blocco dello sviluppo, fino a vere e proprie forme compulsive, che si possono anche concentrare e cristallizzare in un vizio particolare. In quest’area di immaturità, che è più sfumata rispetto all’effettiva responsabilità morale, rientrerebbe la maggior parte della popolazione .

Differenti orizzonti di interpretazione
Quello che maggiormente importa richiamare, a questo punto, è la varietà e la tipicità degli orizzonti in cui è possibile osservare i segnisintomi esteriori. La varietà di chiavi di interpretazione che rinviano a una realtà diversa dalle apparenze, è di notevole importanza non solo per comprendere meglio, ma eventualmente anche per intervenire più efficacemente nell’opera educativa. Sembra soprattutto decisivo considerare come la diversità di questi scenari interpretativi non li renda mutuamente esclusivi: la presenza di un conflitto psicodinamico non impedisce, infatti, che il tema di tipo morale o spirituale si ponga con tutta la sua intensità, così come una lotta di tipo spirituale o morale non esclude di principio la presenza di una dimensione di psicopatologia. Bisognerà quindi superare nettamente la mentalità molto diffusa che pretende di spiegare un segnovizio in termini causali, come semplice risultato del passato. Neppure basterà, anche se è compito necessario, comprendere empaticamente l’intenzionalità e i significati di un certo comportamento nei vissuti di una persona. Sarà invece necessario integrare i due passaggi precedenti in un ascolto più profondo, come in una paziente lectio , in un’interpretazione più complessiva e differenziata, che nello stesso tempo sappia leggere un certo comportamento, da una parte, come tradimento eo fedeltà rispetto a un’inquietudine più fondamentale o metafisica e, dall’altra, sappia distinguere e riconoscere le questioni che la persona nel suo cammino ha dovuto chiudere forse troppo precocemente.

Sintomo e libertà
A partire dall’argomentazione precedente, si può sostenere che anche in situazioni chiaramente sintomatiche in senso patologico ci sarà quasi sempre la possibilità da parte della persona, magari non di agire direttamente sul sintomo, ma di prendere posizione rispetto ad esso, sia attraverso precauzioni personali sia facendosi aiutare da altri in diversi modi.
Disgiungere il profilo morale da quello psicologico sarebbe veramente impossibile: se anche di fronte a una fragilità psichica rilevante ci sarà sempre un rilievo morale di qualsiasi atto, tanto più evidente nel contesto più direttamente relazionale, non si dovrà dimenticare, nello stesso tempo, il rischio di cadere in un riduzionismo, per così dire, dall’alto, come se la possibilità di ragionare e discorrere, magari in modo sofisticato, sugli ideali sottragga dai condizionamenti psicologici più o meno inconsci.
Il vizio nella sua esagerazione, forse più di altri comportamenti negativi, non occulta, anzi manifesta, il mistero della libertà umana. Anche nella distorsione si afferma sempre la natura inesauribile del desiderare umano: il vizio parla sia delle resistenze o addirittura dei blocchi dello sviluppo umano, che della qualità del cercare e della mancanza da cui è segnato indelebilmente il desiderare umano.

La tipicità psicodinamica del vizio
Parlando genericamente di sintomo o segno non possiamo dimenticare di mettere in luce la tipicità psicodinamica del vizio che spesso una mentalità troppo intellettualistica dimentica.
* Un vizio in termini clinici sarebbe come una cronicizzazione che si è costruita sulla ripetizione di un certo comportamento che sembrava dare comunque sollievo eo piacere e quindi una buona soluzione a un problema e ad una tensione interiore. L’interpretazione agostiniana del peccato aiuta la comprensione psicologica profonda del vizio: anche il male sembra un bene per la persona che lo compie anche se un bene solo parziale.
* Caratteristico di questo comportamento è il fatto che il sollievo oe il piacere sta nella ripetizione dell’atto, più che nel riferimento intenzionale ad un oggetto. Si potrebbe parlare di atti senza oggetto, non qualificati dall’oggetto. La cura o la rieducazione consisterebbe appunto nel ritrovare l’oggetto e l’intenzionalità dell’atto.
* Questi atti senza oggetto, che danno sollievo eo piacere, ripetendosi, maturano una forza motivazionale propria che può prescindere dalle motivazioni che li avevano generati all’inizio. In questo senso si potrebbe parlare di progressiva autonomia motivazionale  dei vizi anche nel momento in cui venissero meno le ragioni psicodinamiche che li hanno generati. Un vizio può permanere anche quando vengano meno le motivazioni più profonde o addirittura sia distonico per il soggetto stesso, in alcuni casi le motivazioni psicodinamiche consolidate dalla ripetizione del vizio possono diventare nel tempo centrali in una personalità. Se ad esempio la menzogna vissuta da un giovane con le persone più amiche fosse nutrita, tra le molte possibilità, dalla paura di essere abbandonato, anche una volta che questa ansia di abbandono fosse superata e rassicurata non è detto che l’abitudine contratta nel mentire non continui addirittura insidiando anche una relazione a lungo attesa e cercata.

Le forme
Possiamo mettere alla prova la riflessione teorica sull’interpretazione del vizio con un paio di esemplificazioni, riconoscendo nel medesimo sintomovizio la stratificazione di motivazioni, nelle quali è incluso sia l’aspetto di forza che quello di significato, nei tre differenti orizzonti, prima richiamati:
* il bene o il senso del vivere proprio della ricerca intenzionale del desiderare umano orientato all’autotrascendenza, che non si compie se non nel dono di sé, cioè nell’apertura umana a un bene ultimo che non può essere raggiunto, ma solo cercato e atteso;
* la fragilità strutturale dell’identità che compromette già gravemente la salute psichica del soggetto, che corrisponde ai cosiddetti disordini della personalità o alla struttura bordeline di personalità ;
* i diversi bisogni, più o meno inconsci, della personalità, in conflitto con la sua idealità, che si possono comprendere come consistenze o inconsistenze psicologiche , intese come immaturità non patologiche, che nelle situazioni di immaturità più grave potrebbero manifestare una vera propria compulsività .
Certamente gli esempi saranno soggetti a qualche schematizzazione, visto che lo stesso «vizio» in personalità differenti potrebbe avere differenti motivazioni psicodinamiche e significati esistenziali, ma lo scopo è quello di rendere più intuitiva l’interpretazione precedente del sintomovizio per un eventuale intervento educativo più efficace.

Nell’area della sessualità: l’uso della pornografia.
Come prima esemplificazione prendo in considerazione l’uso della pornografia, sempre più frequente soprattutto attraverso internet, fino a provocare in certi casi una sorta di dipendenza . La pornografia sembra sempre più accessibile a livello privato e diventa frequentemente una soluzione virtuale e regressiva a un problema di relazione e di intimità. Richiamo diversi possibili scenari di interpretazione che non si escludono vicendevolmente di principio, ma potrebbero anche essere compresenti, forse il più delle volte almeno con due delle seguenti prospettive di lettura:
* certamente occorre considerare la difficoltà a vivere la castità, intesa sia come rispetto verso l’altroa che come capacità di intimità con se stessi, ispirata da motivazioni religiose eo morali più o meno oggettive;
* si potrebbe trattare di un’identità instabile e fragile, caratterizzata prevalentemente da relazioni oggettuali parziali, che cerca in qualche modo conferma in un’identificazione fantastica;
* forse l’uso della pornografia potrebbe essere interpretato come la gratificazione di bisogni rilevanti, più o meno inconsci, di dipendenza eo dominazione o di aggressività eo umiliazione.

Nell’area dell’avere: la possessività rispetto a cose e persone.
Prendo il secondo esempio nell’area dell’avere , in particolare la possessività che può esprimersi non solo verso le cose, ma anche in forme di potere esagerato sulle persone. Si ritrova qui un criterio consumistico che non di rado equipara cose e persone che diventa costume diffuso. In questa possessività molto manipolativa possiamo ritrovare forme di potere di tipo carismatico che spesso esprime il bisogno non solo di chi domina, ma anche di chi, avendo bisogno per così dire di un supplemento di identità, si fa manipolare o possedere. Possiamo ritrovare anche in questo caso differenti scenari interpretativi non necessariamente in contrasto tra loro:
* sarebbe possibile intendere il problema come difficoltà a vivere la povertà, intesa come accettazione della propria condizione umana e solidarietà con i poveri, nell’affidamento a una speranza religiosa che supera la morte;
* potremmo, invece, considerare questa possessività o dominazione manipolativa come espressione di una personalità narcisista, che se da una parte si crede nettamente superiore e migliore degli altri, dall’altra, inconsciamente si odia e proprio per questo ha grande bisogno, senza riconoscerlo, di ammiratori dipendenti e devoti, così il possesso di cose non proprie e persone sembra che spetti di diritto, senza rimorso né pudore;
* si potrebbe anche interpretare come estensione dell’io spinta dai bisogni, più o meno inconsci, di non valere abbastanza eo di evitare la sofferenza: l’avere, ma anche il potere – ad esempio ruoli importanti, incarichi prestigiosi, carriera - potrebbero aiutare a tenere più alto il valore di se stessi, anche ai propri occhi, o a circondarsi di tali sicurezze da difendersi da fatiche e sofferenze, aumentando però fatalmente l’immaturità psicologica e la vulnerabilità rispetto ai bisogni da cui si intende proteggersi.

L’intervento pedagogico
Non è facile l’intervento educativo rispetto ai vizi, data la ripetizione e il radicamento di un certo comportamento che diventa come una «seconda natura». Non dobbiamo dunque illuderci. Forse l’approccio pedagogico più efficace e intelligente per l’educatore, per la guida spirituale o il confessore… dovrà proprio partire dalla consapevolezza che si può fare proprio poco, ma nello stesso tempo tenterà di giocare il meglio possibile le mosse che si hanno a disposizione.
 
Pedagogia interpretativa e mentalità genetica
Lo stile dell’intervento dipende dalla mentalità pedagogica che lo ispira. Insufficiente è una pedagogia soggettiva fondata esclusivamente sul «bisogno» del soggetto, una pedagogia che in sostanza lascia fare, una pedagogia che crede talmente all’importanza e al valore della soddisfazione del bisogno per lo sviluppo del soggetto, che rischia di abbandonalo a se stesso, proprio quando potrebbe avere bisogno di una presenza e di un confronto esigente. Sembra pure inadeguata una pedagogia oggettiva, fondata invece sulla «risposta», che pretende di condurre il soggetto ad un certo standard richiesto e all’adeguamento di una regola, richiedendo od esigendo i cambiamenti e gli adattamenti necessari, ma che rischia di porre esigenze e richieste così estrinseche, che alla fine sarebbero, al limite, sopportate per compiacenza, ma non certo interiorizzate. Un terzo stile di intervento pedagogico, certamente auspicabile, è quello fondato su di un modello di interazione complessa tra soggetto e agente educativo, una pedagogia interpretativa  che coglie il tratto, nel contempo, simbolico e ambivalente delle domande umane, esplicite e implicite in un atteggiamento o un comportamento.
Questo stile di intervento introduce in quella che potremmo chiamare una mentalità genetica  della pedagogia, che, cioè, tiene conto della storia evolutiva del soggetto nelle sue interazioni riconoscendo la stratificazione di differenti livelli di schemi affettivi e relazionali, che si conservano, per così dire, potenzialmente «svegli» anche quando sembrano «dormienti», ma successivamente possono essere riattivati da eventi e relazioni particolari, più o meno coinvolgenti o traumatici. Anche un vizio particolare può essere espressione di una certa fase della storia del soggetto non pienamente suscettibile di controllo a partire da una presa di coscienza. In questo caso andrebbe raggiunto secondo un’interpretazione e un intervento pedagogico coerenti con quel livello di stratificazione evolutiva.
Se, ad esempio, un giovane-adulto, molto ordinato, con una buona posizione professionale, ma che non riesce ancora a instaurare una legame affettivo consistente di coppia, ricade regolarmente in relazione sessuali con delle prostitute e poi immediatamente deve confessarsi dal prete perché altrimenti si sentirebbe troppo in colpa a tornare a casa dalla mamma, dovrà essere aiutato (oltre che a porre qualche freno pratico al proprio comportamento lesivo e valutare in una riflessione morale attenta il suo stile di vita) forse con più urgenza a sciogliere gradualmente, se è possibile, il nodo della relazione materna, cercando di evitare di alimentare la colpa che sembra suscitare la dinamica compulsiva. Il tipo di approccio pedagogico, quindi, dovrà essere attento anche al livello evolutivo nel quale occorre intervenire, favorendo lo sblocco o la riapertura di una domanda evolutiva orami chiusa da tempo.

Differenti tipi di intervento educativo
Chiaramente non sarà sempre possibile agire come educatori, con la stessa efficacia e competenza in tutti e tre gli orizzonti o scenari interpretativi, ripetutamente indicati, ma è comunque meglio per un educatore comprendere la complessità del problema e la logica anche di altri interventi complementari, riconoscendo la necessaria parzialità del proprio intervento educativo. Questa consapevolezza rende non solo plausibile, ma, quando è praticabile, necessario un lavoro in equipe o in rete, lavorando contemporaneamente con criteri condivisi su differenti fronti ciascuno con le proprie competenze e i propri strumenti. Mi limito qui a offrire una schematizzazione dei differenti tipi d’intervento educativo necessari, non entrando invece in modo più specifico nella descrizione degli strumenti come ad esempio il progetto per il singolo o la proposta di gruppo, i colloqui psicoterapeutici o l’accompagnamento spirituale, le attività espressive e lavorative o di servizio. Distinguo sinteticamente tre tipi di interventi educativi da tenere presenti ed attuare secondo differenti strumenti:
* Interventi strutturanti. Sono interventi di carattere direttivo rivolti ad accrescere una percezione più realistica della realtà e una percezione di sé più individuata e distinta, in questo modo si dovrebbero rafforzare i confini dell’identità contenendo il più possibile gli atti impulsivi, soprattutto se lesivi di sé e degli altri. Si può considerare un intervento strutturante quello di fermare, come si può, un ragazzo che preso dall’ira perde il controllo, picchia gli altri e distrugge le cose di uso comune o quello di impedire l’abuso di alcolici evitando, da una parte, almeno che sia possibile in ambienti educativi e prendendo, dall’altra, dei provvedimenti disciplinari intelligenti e proporzionati, se fosse necessario anche verso il gruppo, per far percepire la gravità e la pericolosità della cosa. In questi casi si tratta di interventi necessari, anche se evidentemente insufficienti in una dinamica educativa. 
* Interventi introspettivi. Sono interventi di carattere non direttivo, che favoriscono l’ascolto e l’accoglienza di ciò che si muove a livello emotivo, attraverso un atteggiamento empatico che sa dare spazio alla fragilità, alla sofferenza, alle vicende di una storia personale che non viene percepita, riconosciuta e compresa se non nel momento in cui viene raccontata e ascoltata. Sarebbe, ad esempio, importante che un giovane tossicodipendente, che si sta ricuperando, potesse ritrovare prima o poi i motivi profondi di disagio e sofferenza che lo hanno in qualche modo condotto all’uso delle sostanze, ritrovando la dignità del suo patire, oltre l’umiliazione, e una risposta differente alla propria tristezza, inadeguatezza o solitudine…    
* Interventi riflessivi. Ritrovare un senso, un significato per vivere non è opzionale nella risoluzione di un vizio, perché occorre avere dei motivi profondi e ben attraenti per risalire la china, visto che, per la “coazione a ripetere”, il più delle volte la consapevolezza di un male autodistruttivo non basta. Allora possono giovare anche interventi propositivi, che risveglino, prima di tutto, gli ideali ai quali una persona tiene, riaprendo la ricerca dei significati più veri della vita e che, in un secondo tempo, favoriscano, attraverso il confronto e il dialogo, la realizzazione concreta di questi valori necessari anche per il consolidamento di un’identità più stabile e matura. In ogni situazione di difficoltà e di crescita, oggi più di ieri, prima o poi bisogna ritrovare un senso alla fatica, alla rinuncia, al sacrificio in una visione più ampia non legata all’immediata risposta e risultato.
Se, nell’ipotesi più ottimistica, si intenderebbe procedere dagli interventi riflessivi, ad esempio davanti a un problema di coscienza, attraverso l’introspezione fino al cambiamento del comportamento, non di rado si dovrà procedere in senso inverso, cioè, dagli interventi strutturanti, vere e proprie correzioni, verso il recupero della riflessione attraverso l’accoglienza del disagio nell’introspezione. Sarà comunque buona cosa, da educatori avveduti, chiedersi se sia possibile e come sia opportuno – con quali competenze – intervenire.

Motivazione e comportamento
Nelle diverse teorie psicologiche come nelle differenti forme pratiche di approccio educativo, con le relative concezioni antropologiche più o meno implicite, sembrerebbe che motivazione e comportamento non di rado si oppongano o si escludano a vicenda, mentre nella realtà della prassi educativa e dell’agire si intrecciano e si influenzano in modo significativo e reciproco. Questa consapevolezza teorica diventa decisiva per reperire le risorse positive e immaginare i percorsi di un cammino non solo riparativo, ma anche promettente. 
* In un cammino rieducativo, rispetto a un vissuto vizioso, è necessario ritrovare prima di tutto le motivazioni. In sostanza occorre riscoprire quali motivazioni siano disponibili a tutti i livelli, a partire dalle risorse più naturali – come ad esempio il gusto per le cose belle, la capacità di godere delle piccole gioie del vivere o gli interessi e le passioni sanamente coltivate - ad alcuni bisogni psicologici particolarmente decisivi in un cammino di maturazione – come ad esempio una buona autonomia, una certa esigenza di dominare senza troppa ansia le situazioni che si incontrano, la spinta all’aiuto degli altri soprattutto se svantaggiati, la capacità di reagire alle difficoltà e la pretesa buona di fare bene e completare i compiti affidati – fino alle motivazioni più nettamente spirituali e religiose – come ad esempio le virtù cardinali, i consigli evangelici, con le forme pratiche della vita spirituale e morale , come l’esame di coscienza e la preghiera, il digiuno e la veglia, la ricerca della giustizia e la carità. Nel selezionare le diverse motivazioni utili a riattivare un cammino in positivo bisognerà evitare gli opposti riduzionismi sia dal basso che dall’alto, apprezzando positivamente l’intreccio di differenti motivazioni nel sostenere un cammino di crescita. 
* L’immaginazione pratica di comportamenti alternativi e azioni correttive è un’altra risorsa preziosa per il cambiamento. Se, da una parte, occorrerà immaginare alcune concrete alternative per vivere gli stessi bisogni sottostanti ai vizi, in modo adattivo e virtuoso, sarà necessaria a una progressiva liberazione anticipare qualche azione correttiva, appena si incominci a riconoscere le motivazioni e i bisogni che sottendono a un vizio. Comunque un cammino di liberazione dal vizio, sarà per forza, graduale nei passaggi di crescita e ripetitivo nell’esercizio. L’educatore scoprirà l’importanza di confermare un miglioramento o un pareggio piuttosto che lamentare il mancato superamento di un certo comportamento negativo, così come imparerà la pazienza di ritornare, con le persone, tante volte sul medesimo con la delicatezza di non umiliarle.
 
…vizio, depressione, trasgressione…
Un pubblicitario , in un libro, racconta che per mestiere ha venduto sogni per tutta la vita, scoprendo alla fine che chi è felice non compera, nel senso che se uno vive una sua felicità interiore non ha bisogno di riempirsi la casa di oggetti né il corpo di vestiti sempre all’ultima moda. Questo sarebbe già un modo di prendere coscienza di una qualità viziosa della nostra società, quale è appunto il consumismo, e capire come l’individuo, che non può sopprimere questo vizio perché è collettivo, può perlomeno prendere posizione e distanziarsi da questa viziosità. In effetti l’identità necessita di trasgressione  per crescere, ha in sé il bisogno di andare oltre se stessa e di essere attratta da esperienze buone e belle. Se non trasgredisce verso il bene si ripiega su di sé nella depressione del vizio, se non trova il “tesoro” o la “perla” per i quali vendere tutto, scava una buca e nasconde anche il “talento” che ha, anzi che è.