Il Sè poetico


Editoriale
Tredimensioni 6(2009) 2, 116-119



Dobbiamo imparare a dire le cose ma soprattutto a saperci dire.

Il senso soggettivo che ciascuno di noi ha di se stesso funge da principio organizzatore e unificante delle diverse esperienze. La sua elaborazione consta di un lungo cammino che prende le mosse dalla interazione madre-bambino e che continua per tutta la vita. Ad ogni nuovo senso del Sé corrisponde anche un cambio nella sensibilità sociale, un diverso campo di esperienza interpersonale.

Di importanza capitale è il senso del Sé verbale: imparando a parlare, il bambino è in grado di creare dei significati condivisi riguardo a se stesso e al mondo e la relazione verbale apre a possibilità crescenti e quasi illimitate di eventi interpersonali. Alla maggiore capacità interpersonale corrisponde anche la capacità di oggettivare il Sé, di essere autoriflessivo, di comprendere e produrre il linguaggio.

Finché arriviamo al Sé narrativo, ossia alla capacità di utilizzare il linguaggio non solo per nominare oggetti o comunicare con gli altri sul mondo che ci circonda, ma per produrre una narrazione della nostra storia. La costruzione di un’autobiografia ci consente di rappresentare in una forma narrativa le esperienze precedentemente vissute nell’ambito degli altri sensi del Sé e a dar loro una coerenza nuova. Il modello narrativo è generalmente conscio, verbale, raccontabile, sociale, costituito da referenti esperiti attraverso le parole.

Il raggiungimento del Sé narrativo è ritenuto in psicologia il livello massimo a cui può aspirare lo sviluppo umano (pensiamo ad esempio alla teoria di Daniel Stern). Sicuramente, la narrazione permette di giungere ad una coesione e ad un’identità significativa di Sé che è molto elaborata e allarga il campo di relazione ben oltre la concretezza delle relazioni presenti. A livello di pedagogia e di psicologia sembra che si stiano riscoprendo le pratiche antiche ma efficaci di narrazione come strumento per l’unione dei diversi aspetti del Sé e come metodo terapeutico.


Nonostante i vantaggi offerti dal linguaggio oggettivante, non tutto può essere detto e neanche serve dire tutto. Talvolta può essere un’illusione voler coscientizzare e verbalizzare tutto. In ciascuno di noi vi è un’area segreta, indicibile, soprattutto quando quell’area ha a che fare con l’ineffabile presenza del divino o con l’esperienza della nostra esistenza come un mistero grande che sempre supera ogni nostra conoscenza ed esperienza. La narrazione viene meno e non risulta mai esauriente.

Si potrebbe, allora, pensare ad un campo ulteriore di esperienza relazionale e di senso del Sé che potremmo denominare senso del Sé poetico. Non è necessario essere artisti o poeti. Basta lasciarsi coinvolgere dall’esperienza - positiva o negativa - descritta dagli artisti e poeti e che troviamo corrispondente alla nostra. Nella poesia possiamo riconoscere un campo della nostra esperienza che è in noi presente ma non detto. Là dove non giunge la parola precisa della narrazione può giungere la parola simbolica della poesia. Anzi, come la narrazione aiuta a preservare dall’oblio un vissuto già noto, così l’espressione poetica aiuta a far emergere dall’oblio le nostre esperienze nei loro vertici più alti.

Spesso ci si ritrova a dover affermare: «Non so come dirlo… mi mancano le parole». La lingua letteraria poetica non si rassegna a tale aporia, ma procedendo come potenziamento del linguaggio comune, cerca di oggettivare con pienezza il vissuto, manipolando tutte le funzioni del linguaggio. Nella poesia, infatti, le parole sono assunte non solo per il loro contenuto, ma anche per la loro qualità sonora, per la loro disposizione ritmica, per il loro alone di connotazioni, per la loro risonanza semicosciente. La poesia, grazie al suo amore per la molteplicità, l’ambiguità, l’uso di immagini e simboli, il rifiuto della logica, è in grado di produrre una presenza altrimenti sfuggente. Ogni essere umano ha bisogno della poesia per dire le proprie esperienze più intense. L’innamorato ce lo insegna. 


Nel libro dei Salmi, alcuni dei poemi sono collegati, nell’intestazione, con il nome di Davide e con la situazione precisa a cui fanno riferimento. Forse, non si tratta di un semplice artificio letterario ma è anche segno che certi vissuti emotivamente intensi non si possono esprimere pienamente in forma narrativa, con gli strumenti del linguaggio comune. 

Sembra che Davide, il re d’Israele, sia in continuo contatto con il mistero della vita e della morte, dell’amicizia e del tradimento, dell’amore e dell’odio, della battaglia e della fuga, della quiete e della lotta, del sublime e dell’infimo… Tale ricchezza e tale intensità di vissuto rischierebbero di ridurre il soggetto ad essere dominato da emozioni più forti di lui, soprattutto perché indicibili alla luce del linguaggio comune. Tali emozioni intense e variegate non sono solo ineffabili secondo il parlare comune, ma sono anche impensabili e quindi difficilmente integrabili nella vita. Emozioni troppo forti e non gestibili rischiano di condurre alla frammentazione del sé. Invece, emozioni integrate nella globalità della persona danno colore e spessore all’esistenza. E la poesia è in grado di farlo.


Proprio per questo i salmi possono trovare un ruolo particolare nell’accompagnamento spirituale, ma anche nel counseling, per aprire un nuovo orizzonte di esperienza e un nuovo senso del Sé. 

Non c’è un’emozione che non sia espressa nei salmi e il lettore, rispecchiandosi in esse, può dire in qualche modo la propria vita interiore. In secondo luogo i salmi gli permettono di identificarsi con altri essere umani che hanno sperimentato conflitti, ansie, sentimenti simili ai suoi e quindi rendono possibile la individuazione di un tema universale: la persona non si sente sola, trova speranza e, spesso, un nuovo orientamento alla vita. Il simbolismo dei salmi, poi, è peculiare: la riflessione sulla vita avviene nel contesto della presenza di Dio. Il lettore si ritrova in un triangolo tra se stesso, il salmista e Dio. Insieme al salmista cerca il perché e il come dell’esistenza, nella consapevolezza che la vita ha un significato. Sul modello della situazione esistenziale del salmista rivede la propria vita come un’interazione tra i propri sentimenti e la presenza di Dio (o la sua assenza).


Il dirsi nella poesia dell’altrimenti ineffabile permette al soggetto di trovare un nuovo senso del Sé e di dare coesione ai frammenti della propria esperienza.