Il significato delle parole nel tempo della prova
Editoriale
Tredimensioni, 17(2020) 123-128
Nel tempo della prova e della desolazione si è costretti a ritrovare le radici della vita, la retorica suona vuota e le parole cercano il loro significato essenziale[1]. Così è delle parole della fede e della prossimità nel tempo del coronavirus, un tempo che ci ha fatto sperimentare la vulnerabilità, la paura, la solitudine e la desolazione. Veramente opportune al riguardo le parole essenziali ed evangeliche dell’Arcivescovo di Milano Mario Delpini nell’intervista, che riportiamo quasi integralmente, a Fabio Fazio alla trasmissione televisiva “Che tempo che fa”[2].
«Milano, sta vivendo un momento di fragilità ma non solo Milano. (…) L’apprensione riguarda tutte le famiglie di questo paese. (…) La ascoltiamo».
«Vorrei dire una parola. Mi piacerebbe riassumere tutto in una parola, un avverbio, un po’ complicato che è “addirittura”. Perché “addirittura” mi pare che dice quella determinazione a resistere, “addirittura” vuole dire che è possibile a Milano curarsi dei malati, è possibile “addirittura” affrontare le questioni con razionalità e competenza, senza improvvisazione e senza troppa emotività. “Addirittura” dice la determinazione a resistere di quelli che hanno la cura per il bene comune. (…) “Addirittura” dice anche una specie di sorpresa, di stupore: perché per esempio, io credo, si può dire “addirittura” che, a Milano − pensa un po’ ! − è possibile pregare, cioè è possibile che la nostra preoccupazione non diventi una disperazione ma una relazione più profonda con Dio. “Addirittura” è possibile usare il tempo per seminare sorrisi laddove serpeggia la preoccupazione o talvolta l’indifferenza. “Addirittura” è possibile persino a Milano leggere un libro quando non si può andare a scuola e non si può fare altro che curarsi un po’ di sé. Ecco io vorrei dire questo a questa città che rischia da un lato forse di sottovalutare i problemi e quindi trasgredire troppo facilmente le norme più sensate che vengono date e però anche insieme dove l’emotività induce a dire: “Scappiamo! Andiamo! Salviamoci!”. Ecco io dico si può “addirittura” essere razionali, si può “addirittura” sorridere, si può “addirittura” usare il tempo per fare del bene».
«Eccellenza, le parole si sono riappropriate di una concretezza (…). Per esempio, quando diciamo prossimo, quello che si dice “uno sguardo di prossimità” (…) verso gli altri, questa volta come non mai è del tutto evidente cosa vuol dire: perché i nostri comportamenti irresponsabili verso il prossimo si ritorcono anche verso di noi e quindi capiamo davvero che cosa vuol dire (…)».
«“Prossimo” si ridefinisce perché si impara a distinguerlo meglio da “vicino”. Ecco il “vicino” è quello che ha un legame di spazio, semplicemente uno che abita vicino, che siede vicino, che viaggia vicino. Invece “prossimo” vuol dire una scelta, cioè “prossimo” vuol dire colui del quale decido di prendermi cura. Ecco, nel vangelo questa parola è proprio spiegata così da Gesù: “è colui di cui decido di prendermi cura”, quindi la definizione di prossimo vuol dire che lo sguardo sugli altri non è più delle persone vicine, o conosciute o sconosciute, guardate come una minaccia o con un motivo di sospetto; “vicino” è una parola che incute anche un po' di preoccupazione. Chi sarà che mi siede vicino? Chi sarà che abita con me? Questo che dico invece è che noi adesso possiamo dire “prossimo”, possiamo dire: “Guarda, in questo momento così strano, non c'è più neppure quella cosa così terribile com’è la riunione di condominio e allora quel vicino (…) con cui litigo per il colore del sottoscala (…) posso considerarlo un prossimo, cioè uno di cui invece mi devo curare».
«(…) Lei tutti i giorni dalla sua finestra lei vede [piazza del Duomo, vede] come si è svuotata, come sta cambiando proprio la fruizione di questa piazza. Che impressione le fa?». «L’impressione è desolante, anche perché ero abituato a vedere le code dei turisti che entravano, (…) come se Milano fosse diventato un po’ il centro del mondo, di tutte le lingue, di tutti i posti. Adesso vedere questa specie di deserto naturalmente mi dà l'impressione di un’urgenza, che è quella, insomma, di dire qualche parola di speranza per tutti quelli che stanno vivendo un momento molto difficile. Anche perché evidentemente ci sono dei danni per la salute, dei danni per il turismo, per l'economia, per l'immagine, quindi mi dà veramente l’impressione di una desolazione. Ecco però in cima lì ho visto che c'è ancora la Madonnina. Ecco quindi io comincio a guardare su invece che guardare troppo in giù».
«(…) Ci sono delle analogie (…) abbastanza incredibili fra quello che racconta Manzoni della peste del 1630 e i giorni che stiamo vivendo, non tanto nelle conseguenze, per fortuna, ma negli atteggiamenti degli uomini, nelle paure, nel modo di comportarsi. Torna molto di moda la parola “Provvidenza” che spesso viene accostata a “punizione divina”(…). Che c’entra questo discorso con quello che stiamo vivendo?».
«Ma, sa, io su Dio non è che mi permetta di dire delle cose troppo originali; ecco quindi chi ragiona dicendo: “ecco il Dio che punisce, oppure Dio che guarisce”, si vede che ne sa di più di me di Dio. Ecco, quindi io l'unica roba che so di Dio è quella che ha rivelato Gesù, perché ho imparato che tanti modi di immaginarsi l'opera di Dio sono un po’ dei pregiudizi; quindi io mi fido di più di Gesù come rivelatore di Dio e nel vangelo non ho mai letto che l'atteggiamento di Dio verso il mondo, verso i peccatori, sia quello di dire: “adesso ti castigo”, ma piuttosto Dio ha mandato Gesù nel mondo non per condannarlo ma per salvarlo. Quindi l’idea di punizione mi sembra una proiezione di un ragionamento un po' troppo umano, ecco».
«Eccellenza, e la parola Provvidenza come la traduce oggi?».
«Provvidenza. Manzoni ne riempie il romanzo (…) di Provvidenza e però mi ha colpito perché ad un certo punto, anche qui, [nell’idea] di Provvidenza c’è forse l’immaginazione di un Dio che concatena degli eventi per fare del bene a qualcuno oppure degli eventi per castigare qualcun altro. Ecco che evidentemente non è il modo di ragionare di Gesù. C’è un passo del romanzo di Manzoni dove dice che Renzo, vedendo un mendicante − non so, ecco, non ricordo bene − dice, uscendo da una chiesa: “là c'è la Provvidenza!” e tira fuori dei soldi per darglieli, come per dire che Provvidenza non è una specie di magica combinazione degli eventi per produrre un risultato buono ma è un’interpellanza che la realtà mi pone perché io mi faccia carico dell'altro. Ecco, quindi, [che] l’opera di Dio non è quella di aggiustare gli eventi, o non principalmente questa, ma di chiamare i cuori a conversione; cioè l’opera di Dio è di donare lo Spirito Santo, se dovessimo dirlo in linguaggio teologico, perché io possa vivere e amare e servire come ha fatto Gesù».
«Ormai su tutto il territorio nazionale si celebrano messe senza fedeli, il nuovo decreto del Presidente del Consiglio ha ribadito che non si possono celebrare matrimoni, nemmeno funerali – solo con la presenza dei parenti stretti – e le messe senza fedeli. Posso chiederle, proprio da un punto di vista personale, come si vive questa situazione? (…)».
«(…) Dà l’impressione di un incompiuto, perché la messa si celebra per la gente. Ecco è anche vero che abbiamo delle risorse, sa, noi preti abbiamo tante risorse per semplificarci la vita e quindi diciamo: “sì non sono presenti fisicamente, lo sono però spiritualmente”, però di fatto è che sono presenti affettivamente; cioè noi nel mistero che celebriamo portiamo la nostra gente; certo la portiamo con la nostalgia di vederla (…)».
«Sembra che (…) questo tempo ci ricordi come la nostra società in qualche modo ci trovi impreparati di fronte all’imprevisto, proprio perché pensavamo di prevedere tutto; anzi, che nulla accadesse senza che noi lo volessimo e probabilmente ci impedisce anche di rivolgere lo sguardo più in grande. (…) Anche se ci occupiamo (…), comprensibilmente, di quello che stiamo vivendo, esiste il dolore altrui che non è meno grave (…). Come facciamo a non perdere lo sguardo sul mondo quando siamo così attenti a guardare dentro noi stessi e intorno a noi, alle nostre paure?».
«Ma, forse [vale] quello che dicevo all'inizio, cioè di far sì che noi possiamo addirittura pensare invece che soltanto reagire emotivamente. Allora quando uno pensa, sa che non può fidarsi troppo della comunicazione, perché la comunicazione riempie tutto il telegiornale, tutte le pagine del giornale di una sola notizia adesso. Quindi in qualunque posto non si può parlare d’altro e così uno dice: “ma, forse ci sono altri luoghi dove c’è la gente che soffre, altri luoghi dove c’è la gente che è in guerra”. Io ogni mattina, in questo periodo di Quaresima, faccio un piccolo intervento per dire: “preghiamo per la pace, preghiamo per la pace nel Mali, preghiamo per la pace in Congo, preghiamo dicendo una parolina su ciascuna di queste situazioni”. Ecco, cercando di reagire a questo ossessivo interesse per se stessi, per la notizia dell'ultimo momento e per questa reazione emotiva a tutto quello che succede».
«Quando lei è stato nominato [arcivescovo], il 7 luglio 2017, in quell'occasione lei ha detto che contrastare il male significa avere speranza e fiducia nell’umanità. (…) Quando ci sono situazioni come quelle che stiamo vivendo si dice spesso “Speriamo!”. (…) Un modo per concludere il discorso, quando non si sa più cosa dire; invece la speranza credo che abbia un altro significato soprattutto per lei.»
«Sì, io sono molto affezionato a questa parola, sono convinto che bisogna definire la speranza per sapere di che cosa stiamo parlando. La speranza non è l’aspettativa costruita su qualche dato di cui disponiamo, su una proiezione di quello che ci sembra di poter produrre con le nostre risorse. La speranza è la fiducia in una promessa, cioè c’è qualcuno che ci promette una gioia, che ci indica la strada per raggiungerla. Quindi io ho speranza non perché – diciamo – ci sono delle notizie positive oppure ho disperazione perché ci sono delle notizie negative, perché, io dico, la speranza è la promessa che viene da un interlocutore che è molto più grande, che ha un progetto di salvezza molto più forte di tutto quanto ci può capitare di tragico nella storia. Quindi la speranza ha inevitabilmente un riferimento a Dio. Ecco, (…) è quello che ho imparato dal vangelo insomma».
«(…) In questi casi ogni volta che si è di fronte al male, a volte un male insopportabile, ci si chiede sempre: “Dov’è Dio?”. E il suo motto è “Plena est terra gloria eius” (“La terra è piena della sua gloria”). Ecco, ci vuole aiutare a capire come si fa a vedere la gloria di Dio sulla terra oggi? (…)».
«Devo sempre spiegarle le parole! (…) Che cos’è la gloria di Dio? Ecco, questo è la gloria di Dio. Non è l’Eden, no, dove tutto è bello, tutto è perfetto. La gloria di Dio si definisce così: è l’amore che rende capaci di amare. Ecco cos’è quindi la gloria di Dio. Non è un bel panorama, ma è l’amore che noi siamo in grado di costruirne, l’amore che ci viene da Dio e che ci rende capaci di amare. Quindi io dico che non c’è nessun posto sulla terra dove manchi questa possibilità, che ogni uomo, ogni donna può amare. Ecco, quindi è quella lì la gloria di Dio (…)».
È un dialogo che apre ulteriori domande decisive per l’esistenza, non solo su ciò che stiamo vivendo nella prova, ma su come lo stiamo vivendo. Per ogni credente che cerca, ama e lotta, e ancor più per chi accompagna in diversi contesti, in un cammino di integrazione psicologica e spirituale, ogni “situazione” può diventare “occasione”[3].
[1] Cf Francesco, Le amarezze nella vita del prete, Discorso del Santo Padre per la liturgia penitenziale del clero, letta dall’Em.mo Card. Angelo De Donatis, Vicario generale di Sua Santità per la diocesi di Roma (27.02.2020), in www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2020/february/documents/papa-francesco_20200227_clero-roma.html Accesso effettuato il 10 marzo 2020.
[2] Cf Che tempo che fa, Monsignor Mario Enrico Delpini Arcivescovo di Milano, st2019/20, in www.raiplay.it/video/2020/03/che-tempo-che-fara-monsignor-mario-enrico-delpini-arcivescovo-di-milano-1075b30f-5e96-47fd-a93e-1a0907f86263.html Accesso effettuato il 10 marzo 2020.
[3] Cf M. Delpini, La situazione è occasione. Per il progresso e la gioia della vostra fede, Centro Ambrosiano, Milano 2019.
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