Tempo umile
Tredimensioni 17(2020) 236-238
«Andrà tutto bene» dicevano i bambini (che così si sentivano dire dai loro genitori). «È come una guerra» (dicevano gli adulti nati dopo il ’45). «È peggio della guerra» (dicevano alcuni anziani, e non potevano saperlo che loro). Le frasi dei giorni critici, ormai lontane nel tempo, cedono il passo alle diverse fasi che si sono susseguite: fase 1, fase 2, fase 3... Si sta spalancando davanti a noi “il giorno che verrà”, e che ancora non sappiamo se guarderà al passato come (rispettivamente) un temporale violento, un conflitto bellico o una tragedia. Forse sarà solo un brutto ricordo; durante questa estate abbiamo visto sprazzi di normalità, tentativi di far tornare tutto come prima e il più in fretta possibile. Ne siamo usciti definitivamente? Guardiamo ai nostri vicini con un certo orgoglio per aver avuto il coraggio di fare ciò che loro hanno atteso troppo a lungo (tamponi e chiusure)?
Poi lo sguardo torna all’interno delle nostre mura, concedendoci momenti in cui facciamo memoria delle persone dalle quali abbiamo dovuto congedarci in privato, perché non c’era la possibilità di andarle a trovare e pure i funerali erano soppressi. C’è chi ha da poco ripreso un lavoro interrotto e chi è costretto a cercarsene uno. Ricomincia il balletto delle accuse tra i diversi schieramenti politici e/o tra i governi periferici e quello centrale. Si riattivano le teorie complottiste che ipotizzano un disegno premeditato da poteri occulti.
Ma, soprattutto, oggi si sta ricominciando con uno spirito che può essere definito debole, forte o umile. L’immagine non è originale perché tratta da una riflessione di Roberto Repole[1], il quale ignorava il Coronavirus quando espose la sua prospettiva più di dieci anni fa. Eppure la sua intuizione è un’ottima cifra per riflettere sulla attuale situazione.
1. Pensiero forte: «Ne usciremo ancora più rinforzati. Le prove servono a rendere maggiormente robusti i muscoli e il carattere delle persone. Ci rimboccheremo le maniche e lavoreremo persino più di prima, dopo le lunghe settimane di riposo forzato. Di buona lena, come bravi soldatini, si tornerà tutti nei ranghi e si lavorerà dodici ore al giorno per recuperare il tempo perduto e approfittare della crisi che nel frattempo ha colpito altri Paesi, specie oltreoceano. Produciamo disinfettanti, mascherine, respiratori; rilanciamo il turismo, offrendo agli stranieri un luogo sicuro in cui venire a trascorrere le vacanze lontano dalle zone pestilenziali che nel frattempo si sono allontanate dal nostro Paese. Dobbiamo smetterla di ricordare i danni, e rasserenare tutti che le cose stanno andando avanti bene. L’Italia ancora una volta “s’è desta” e risorge più forte di prima!».
2. Pensiero debole: «Siamo a pezzi. Il grande superuomo che lotta contro la natura è stato ridotto a nulla dalla natura stessa. Cambiamento climatico, inquinamento, sfruttamento delle risorse...: la natura si è presa la sua rivincita, rimettendo l’uomo al suo posto. Abbiamo voluto strafare ed ora ecco la vendetta di Madre terra. Nulla sarà più come prima e l’uomo dovrà prendere atto della sua fragile condizione. Accantoni la propria hybris, si metta la cenere sul capo e speri che almeno qualcosa si sia salvato dopo questa ecatombe».
3. Pensiero umile: «Ne usciamo fortemente ridimensionati. Ci siamo creduti potenti, ma un virus grande una manciata di milionesimi di millimetro ci ha restituito consapevolezze che avevamo smarrito. Siamo passati dal non trovare tempo per noi e le nostre famiglie ad averne avuto fin troppo; dall’essere sempre affannati e dissipati a non sapere che cosa fare. Eravamo così sicuri di noi stessi da esserci appoggiati su stili di vita che credevamo immutabili. Nella passata primavera abbiamo scoperto, un po’ all’improvviso, che possiamo ancora cambiare: noi, le nostre abitudini, le nostre relazioni... e anche le nostre opinioni. Ad esempio, credevamo che i giovani:
· non capissero la pericolosità del virus, ma non sono loro che hanno popolato le ciclabili in tempi di decreti;
· fossero sempre attaccati ai social, e ci siamo accorti di quanto ci siano stati preziosi;
· non fossero più interessati alle relazioni vis-a-vis, invece li abbiamo visti patire nella clausura familiare;
· non si preoccupassero degli anziani, e in realtà non pensavano che ai nonni;
· privi di speranza, ma sono stati loro che ci hanno ripetuto che sarebbe andato tutto bene».
Il Coronavirus ci ha fatti inginocchiare come san Francesco davanti al lebbroso[2], orientati verso Gesù che si è umiliato fino alla morte di croce (Fil 2,8), restituiti all’umiltà dopo essere passati dalla forza alla debolezza[3]. Ci ha fatti scendere dal piedistallo, è stato in grado di farci muovere. Ci ha restituito uno sguardo di attesa verso il futuro (che si chiama speranza), facendoci uscire dalle nostre pianificazioni e purificandoci attraverso paura e disperazione.
In realtà il Covid-19 in quanto tale non ha fatto nulla di tutto ciò perché, appunto, è un virus: un microorganismo che nemmeno possiamo catalogare come essere vivente (quindi di sicuro non è intelligente). Dovremmo allora pensare – come nelle migliori teorie complottiste – che Dio stesso ha voluto infettare l’uomo con questo agente patogeno per convertirlo? Le conseguenze di un tale approccio sarebbero devastanti e anti-evangeliche.
Non sappiamo né chi né perché, ma sarebbe grave vivere questa discesa come qualcosa da annullare per ritornarcene sul piedistallo, o come una caduta che ci schianta. Gesù si è abbassato e ha condiviso la nostra condizione umana, Lui che era il Figlio di Dio. Ha accettato di vivere la debolezza, si è fatto condivisione, si è compromesso e si è reso bisognoso: oggi è più facile sentirsi come Lui. Perché non continuare a seguire questa traiettoria umile, che non ha un fondo su cui finiremo spiaccicati ma che è una scia tracciata da Gesù, il Figlio di Dio incarnato e morto sulla croce? Perché (come afferma Repole) forse quel Dio che si è mostrato umile, in realtà è umile e chiede a noi di essere esattamente come è Lui.