Il potere religioso e la fiducia


Editoriale
Tredimensioni 21 (2024) 233-235 
 

Lo scandalo degli abusi non coinvolge solo la Chiesa cattolica, ma anche quella protestante[1]. Indagini recenti in alcune Chiese hanno riaperto una riflessione sull’abuso come fenomeno esteso a tutto l’arco delle confessioni cristiane, quasi che ci sia un legame tra la fede che nasce dall’ascolto del Vangelo e la possibilità dell’abuso. Dove si può rintracciare questa origine comune, nonostante le diverse confessioni e teologie? Nelle parole di Gesù stesso? Nella prassi formativa? 
Più volte si è indagato sul ruolo del potere all’interno delle Chiese (e forse anche di altre correnti religiose), un potere che ha origine in genere nel ministero ordinato, che è di natura sacramentale e dunque in ultima analisi riconducibile a un orizzonte divino. Il potere discende da Dio stesso, e per questo non può né deve essere messo in discussione, neppure quando viene comandato qualcosa di discutibile. Su questa deriva di tipo clericale, basata su una sacralizzazione della gerarchia, esistono ormai convergenze conclamate, sia da parte di chi osserva dall’interno sia dall’esterno. 
Ma una domanda sorge spontanea: cosa ci sarebbe di specificamente “cristiano” nel legame del potere con una dimensione religiosa? Non ci sono forse religioni più teocratiche del cristianesimo? Sebbene non possiamo che essere di parte, la sensazione è che la risposta sia un «sì». Dunque non è sufficiente ricondurre solo a questo aspetto la presenza dell’abuso, peraltro non pienamente calzante con la teologia della Riforma. Si tratta allora di porre attenzione su un altro peculiare atteggiamento presupposto dalla professione di fede cristiana: quello della fiducia
La fede cristiana non si accontenta di un assenso della mente alle verità dottrinali e di un’adesione esteriore alle norme morali. Lo afferma molto chiaramente Franco Imoda sj, quando ha scritto sull’ortopatia[2] come chiave di volta della formazione cristiana. Egli sviluppa una linea di pensiero ben presente nella teologia, a partire dalla Scrittura che invita a discernere «i pensieri e i sentimenti del cuore» (Eb 4,12), per riconoscere le mozioni che vengono dallo Spirito e compiere un cammino di conformazione a Cristo Gesù fino ad avere in noi i suoi stessi sentimenti (Fil 2,5). 
Non bastano dunque idee e comportamenti corretti: occorre un sentire che sia “giusto”. Questo comporta che la fiducia chiesta alla persona non ha a che fare solo con l’intelligenza e la volontà, ma anche con il cuore, senza il quale non si dà un’adesione autentica. Si può allora dire che la fede/fiducia cristiana abbia elementi che espongono un credente all’abuso? Se la risposta fosse affermativa (ed è ragionevole crederlo), potrebbe essere questa l’ipotesi in grado di spiegare perché la fede cristiana esponga le persone ad un alto rischio. 
Quando è stato introdotto il concetto di “abuso spirituale”, si è inteso affermare che la fiducia – posta in una persona o in una comunità – espone gli individui ad una fragilità maggiore rispetto a ciò che accadrebbe nel caso di un’adesione formale. Per prendere la patente non è necessario fare professione di fede nel codice della strada: basta fermarsi al semaforo rosso o alle strisce pedonali. Invece, alle persone in formazione viene chiesto di aprirsi e confidarsi, cercando nel formatore un riferimento da ritenere affidabile e sicuro a motivo del suo ruolo, presupponendo che egli possa offrire sollievo, conforto, consiglio e orientamento. Vi è dunque una potenziale vulnerabilità in ogni relazione pastorale e formativa, in ambito cristiano. Da qui deriva una consapevolezza decisiva per la comprensione dell’abuso spirituale: si deve rifiutare l’ipotesi che soltanto i minori o le persone con carenze fisiche o psicologiche lo possano subire. 
Se ogni relazione di fiducia espone al rischio di essere manipolati e usati, l’abuso spirituale si verifica quando vi è confusione tra la parola del leader (sia esso un singolo o una cerchia ristretta di individui) e il volere di Dio. La persona che riveste un ruolo di autorità nella Chiesa viene percepita come l’unica o la più importante mediazione per il proprio cammino spirituale, a essa si apre il cuore e ci si affida quale espressione della propria fiducia in Dio. Si dimenticano così la promessa e le indicazioni del Vangelo: esso annuncia che il Cristo risorto si fa presente ogni volta che due o tre si ritrovano per vivere in modo fraterno ed elevare le proprie preghiere al Padre, così come nell’incontro coi poveri. Soprattutto si dimentica – o volutamente si nasconde – che il Nuovo Testamento mantiene sempre una distinzione importante tra il volere di Dio e quello delle mediazioni umane, fossero anche i capi della religione a cui si appartiene. Già Pietro e gli apostoli si trovarono a disobbedire ai comandi del sinedrio, rispondendo al sommo sacerdote: «Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5,29)[3].
Questo tipo di lettura mette in luce che, insieme alla sacralizzazione della persona del leader e all’assenza di contrappesi al suo potere, c’è una questione importante che riguarda il tipo di fede che viene proposta e vissuta negli ambienti cristiani. L’adesione del cuore e l’affidamento della propria vita a Dio sono aspetti centrali e irrinunciabili del cristianesimo, ma non devono essere utilizzati per esigere gli stessi atteggiamenti senza riserve nei confronti di qualcuno che decide sulla vita degli altri. 
A essere “bacato” dunque può essere il carisma[4], ma anche il tipo di fede che esso va a richiedere ai membri di una determinata comunità. 
Ne deriva che – prima di essere una questione di confessionalità (riformata o romana) – la vulnerabilità all’abuso diviene una questione di “fede”, e quindi assai più sostanziale. Non è attribuibile certamente a Gesù o al suo messaggio, ma resta il fatto che la fede che nasce dal cuore si espone alla possibilità che un’autorità ne possa approfittare, sia nel momento in cui esercita il potere sia quando va a richiedere un’adesione interiore da parte di chi crede in diversi contesti ecclesiali. 
 

[1] Germania: presentato studio sugli abusi nella Chiesa protestante: 9.355 bambini e giovani dal 1946 ad oggi, in «AgenSIR», 25 gennaio 2024@ 14.52, https://www.agensir.it.
[2] Cf F. Imoda, Sviluppo umano, psicologia e mistero, EDB, Bologna 2005, il cap.5: Il mistero umano e lo sviluppo dell’ortopatia.
[3] Il Concilio Vaticano II, nella costituzione Gaudium et spes (16) riconosce il primato della coscienza quando afferma che essa è «il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità». Ma è facile osservare che in certi ambienti anche questo passaggio viene “casualmente” dimenticato.